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Il contributo redatto in ordine alle cautele che il datore di lavoro deve predisporre al fine di mettere in sicurezza il lavoratore nello svolgimento della propria attività, si concludeva attraverso il rimando all'analisi della responsabilità civile e penale del datore di lavoro.
L'argomento, proprio nell'ambito della situazione venutasi a creare negli ospedali, risulta di particolare attualità. Medici e personale sanitario, infatti rischiano in prima persona di incorrere nel contagio. Tale evenienza è a tutti gli effetti da considerare quale infortunio sul lavoro. In particolare l’articolo 42 del DECRETO-LEGGE 17 marzo 2020, n. 18 che stabilisce come nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) sul luogo di lavoro il medico è tenuto a redigere il certificato di infortunio che viene trasmesso all’INAIL che provvederà alla tutela del lavoratore. Ciò non toglie che sia necessario fornire un quadro di quelli che sono gli strumenti che il lavoratore ha a disposizione per tutelare se stesso. 1. La Responsabilità civile del datore di lavoro Le norme di riferimento sono essenzialmente due . L'art. 2087 del Codice Civile : L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro . La sopra indicata norma fa riferimento all’imprenditore ma sarebbe più corretto fare riferimento al datore di lavoro , posto che non è dubitabile l’ applicabilità di tale disposizione anche alla Pubblica Amministrazione ( tra le altre Cassazione Civile, Sez. Lav., 04 gennaio 2018, n. 93); essa obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le misure atte a tutelare il lavoratore sia dal punto di vista della sua integrità fisica che per ciò che attiene alla personalità morale. E' una norma a contenuto aperto: ciò significa che le misure saranno diverse in relazione alla particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, il settore di riferimento ecc. Per fare un esempio le misure di sicurezza da adottare nell'ambito della sicurezza negli ospedali sono diverse da quelle da adottare negli altri uffici pubblici. Altra disposizione da esaminare riguardo il codice civile è l’articolo 2049 c.c.: I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti Questa norma significa che il datore di lavoro è responsabile anche per l’omissione, riguardante la sicurezza sul lavoro, causata da una persona da lui incaricata nell’ambito delle mansioni a lui conferite. Più semplicemente: il datore di lavoro risponde anche dei danni causati dalla violazione delle misure di sicurezza compiute dai suoi preposti o sorveglianti. Come va qualificata tale responsabilità dal punto di vista giuridico ? La tesi prevalente ritiene che si tratti di una responsabilità oggettiva, come anche stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. 6 marzo 2008 n. 6033; Cass. 12 marzo 2008 n. 6632) . Ne consegue che, pur nelle ipotesi in cui vi sia una delega di funzioni a soggetti diversi rispetto a quelli individuati dalle norme istitutive dell’ente quali responsabili, nondimeno sussisterà la responsabilità della Pa per il danno subito dal lavoratore . Nello specifico, in merito alla posizione dei soggetti esercenti attività sanitaria, la ripartizione in sedi locali dalle Ats e le eventuale ulteriore delega di funzioni all’interno delle stesse, non esime da responsabilità e non costituisce ostacolo alla tutela dei diritti del lavoratore. Le basi teoriche enunciate permettono di apprezzare le conseguenze della violazione dei doveri di sicurezza. Infatti, il riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro comporta l’obbligo di risarcire i danni causati al lavoratore a seguito del fatto lesivo verificatosi, il quale, pertanto, ha diritto ad essere interamente indennizzato dei danni subiti a causa del lavoro. Nel caso in cui la responsabilità ricada direttamente sul datore di lavoro, deve essere quest'ultimo a risarcirlo direttamente: trattasi del noto danno differenziale . Il danno differenziale è il danno che va risarcito al lavoratore in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale e che corrisponde alla differenza tra il danno risarcibile in sede civilistica e l'importo già corrisposto dall'Inail. Un discorso a parte va fatto per quel che riguarda l’assicurazione obbligatoria INAIL ed i suoi riflessi sulla responsabilità civile del Datore di Lavoro. Ai sensi dell’art. 10 del Testo Unico 1965 n.1124: la “responsabilità civile del DL per gli infortuni sul lavoro è esonerata, cioè esclusa, dalla assicurazione obbligatoria prevista dal citato TU, ovvero dalla assicurazione INAIL”. Quindi il Datore di Lavoro non risponde direttamente dei fatti che hanno determinato l’infortunio, salva l’ipotesi un cui la violazione delle norme sulla sicurezza sostanzi anche una responsabilità penale accertata con condanna . In sintesi, la responsabilità civile del Datore di lavoro permane, nonostante la suddetta assicurazione, quando abbia subito una condanna penale per il fatto derivato dall’infortunio. 2. RESPONSABILITÀ PENALE DEL DATORE DI LAVORO Come detto , la violazione delle norme in materia di sicurezza può determinare conseguenze penali in capo al datore di lavoro e/o ai preposti ( vedi quanto detto in ordine all’art 2049 CC) . Anche in questo caso non vi sono differenze tra datore di lavoro privato o pubblico. Secondo l'unanime insegnamento giurisprudenziale (tra le tante Cass Civ. n. 44327 del 30/9/2016) sul datore di lavoro grava una posizione di garanzia per i danni cagionati ai prestatori in conseguenza alla violazione delle norme sulla sicurezza sul di lavoro. Cosa significa posizione di garanzia ? Significa che nel caso di specie il datore di lavoro ha un particolare obbligo di protezione nei confronti del lavoratore . Quest'obbligo trova la sua principale fonte nell'art. 2087 c.c. che “impone al datore di lavoro un obbligo generico di disposizione di tutte le misure necessarie per prevenire eventuali rischi, anche se non esplicitamente richiamate da norme particolari che prevedono reati autonomi”. Detta norma va poi letta in combinato disposto con l'art art 40 del codice penale : .....”Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Pertanto, nel caso in cui il datore di lavoro: a) non impedisca il verificarsi dell’evento lesivo per il lavoratore b) detto evento sia conseguenza della violazione di norme sulla sicurezza, sorge, la responsabilità Penale del datore di lavoro che giustifica l’azione di regresso dell’INAIL nei confronti del predetto . È chiaro che queste disposizioni non possano essere lette nel senso che il datore di lavoro debba creare un ambiente di lavorativo a rischio zero. Significa, invece, che lo stesso datore deve comunque adottare tutte le misure che “nel caso concreto” e alla “specifica lavorazione” risultino idonee. Ad esempio negli ospedali dovranno essere predisposte delle misure di sicurezza diverse a seconda dei reparti e del rischio che ciascuno è chiamato ad affrontare. A ciò corrisponderà una serie di dotazioni diverse, sempre correlate al tipo di attività svolta. Questo comporta , come evidenziato dalla giurisprudenza “l'obbligo non solo di disporre tutte le misure antinfortunistiche, ma anche quello di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte di eventuale preposti e dei lavoratori, perché garante dell'incolumità fisica di questi ultimi, obbligo che non viene meno neppure con la nomina del responsabile di servizio di prevenzione e protezione, che ha funzione diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro”. I principi sopra enunciati restano fermi anche nell’ipotesi in cui alla causazione dell'incidente possa aver contribuito, nonostante i presidi comunque posti in essere dall'azienda, la colpa concorrente del lavoratore almeno in minima parte. Infatti, il comportamento del lavoratore può rilevare quale limite alla responsabilità del datore di lavoro solo quando risulti abnorme, eccezionale o comunque esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive ricevute. Peraltro, la Suprema Corte (cfr. Cass., sez. IV, 26 gennaio 2011, n. 2606) aveva già affermato come nel campo della sicurezza del lavoro il nesso di causalità può essere escluso solo nell'ipotesi di comportamento “abnorme” del lavoratore. Per abnormità deve intendersi “il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro”. Inoltre quella stessa pronuncia afferma come “l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizione in materia infortunistica”. Chiarito il quadro generale occorre dar conto di altre norme contemplate dal codice penale che possono riguardare la condotta del datore di lavoro in ambito sanitario. L’art. 437 del Codice Penale -Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro- :chiunque ometta di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, li rimuova o li danneggi, è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni. Un’ulteriore aggravante è costituita dal fatto che derivi un disastro o un infortunio, con applicazione della pena della reclusione da 3 a 10 anni. L’elemento soggettivo è costituito dal dolo dalla colpa del soggetto L'articolo 451 del Codice Penale -Omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro) disciplina la responsabilità del datore di lavoro. Esso prevede la reclusione fino a un anno o una multa (da 103 euro a 516 euro) per chi, per colpa, ometta di collocare, rimuova o renda inservibili gli apparecchi o gli altri mezzi destinati all'estinzione di un incendio, al salvataggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro. I commenti sono chiusi.
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