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Condominio7/21/2020 Il Condominio che non ha potuto approvare il rendiconto della gestione per tre anni consecutivi a causa della mancata convocazione dell’assemblea, non è tenuto a pagare il compenso annuo preteso dall’amministratore
Capita spesso che, soprattutto quando sono composti da poche unità abitative, i piccoli condomini vengano abbandonati al loro destino da amministratori troppo occupati nella gestione di incarichi più importanti e fruttuosi. Ad un certo punto, nel corso del mandato, l’amministratore non risponde più al telefono, omette di leggere le e-mail che gli inviano i singoli condòmini, chiude i contatti con i fornitori, non paga le bollette, trascura di gestire le parti comuni anche quando esse presentano gravi condizioni di emergenza. Insomma, un comportamento tale da costringere i condòmini ad affidarsi ad altro amministratore più diligente e professionale. Superata la trafila della revoca e della nomina, tramite il nuovo amministratore, vengono presentati all’assemblea tre rendiconti della precedente gestione. In essi sono inclusi i compensi dell’ex amministratore. I condòmini si chiedono se tale pretesa sia giustificata da una effettiva gestione del condominio, ma ovviamente concludono per rifiutare tale corrispettivo. Ne nasce una controversia perché l’ex amministratore insiste nelle proprie ragioni sino a ricorrere in Tribunale per ottenere un decreto ingiuntivo. In aiuto a tutti quei Condomini che si sono trovati in questa situazione, richiamiamo una vicenda che è stata giudicata sia dal Tribunale di Napoli che dalla Corte d’appello della città partenopea Nelle due sedi di giudizio, si è ritenuto che l’amministratore di condominio che nel corso dell’ultimo triennio della sua pluriennale gestione non convoca l’Assemblea condominiale, nemmeno su richiesta pervenuta da almeno due condòmini rappresentanti oltre un sesto del valore dell’edificio ex art. 66 disp.att.c.c., pone in essere un grave inadempimento. Infatti, ai sensi dell’art. 1129, comma 12, n1 del c.c., costituiscono, tra le altre, gravi irregolarità: l’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale, il ripetuto rifiuto di convocare l’assemblea per la revoca e la nomina di un nuovo amministratore. In particolare, la condotta dell’amministratore che ometta di sottoporre all’assemblea condominiale il conto relativo a ciascun esercizio contabile entro il termine previsto dalla legge di 180 gg dalla chiusura dell’anno finanziario, è tale da legittimare la risoluzione del contratto e la perdita del diritto alla corresponsione del compenso ( Trib. Napoli, sent.n. 15355/2014). L’amministratore di condominio, nell’esercizio delle sue funzioni, assume la veste del mandatario e pertanto è obbligato ad eseguire il mandato conferitogli con la diligenza del buon padre di famiglia a norma dell’art. 1711 c.c. ( Cass.civ. n.24920/2017). L’attuale art. 1130, comma 1, n.10, c.c. stabilisce che anche solo la mancata presentazione del rendiconto per una sola annualità può condurre alla revoca dell’amministratore. Secondo la Corte d’Appello di Napoli, a conferma di quanto deciso dal giudice di primo grado, nel caso di specie, per tre anni e mezzo i condòmini sono stati nell'oggettiva impossibilità di verificare la correttezza della gestione e l'amministratore ha disatteso il principale obbligo su di lui incombente avente ad oggetto la presentazione dei conti per consentire un tempestivo controllo sul suo operato In definitiva, tale comportamento integra un inadempimento contrattuale che legittima l’eccezione d’inadempimento ex art. 1460 c.c. da parte del Condominio il quale quindi non è tenuto a pagare il preteso compenso all’amministratore. ( Corte d’Appello Napoli, sent. N. 649 del 12 febbraio 2020)
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L'ABF7/21/2020 L’Arbitro Bancario Finanziario - ABF
Cos’è l’ABF? Dal sito dell’ABF ricaviamo la seguente definizione “L’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) è un sistema di risoluzione alternativa delle controversie (ADR) che possono sorgere tra i clienti e le banche e gli altri intermediari in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari; rappresenta un’opportunitа di tutela più semplice, rapida ed economica rispetto a quella offerta dal giudice ordinario. L'ABF è un organismo indipendente e imparziale nei compiti e nelle decisioni, sostenuto nel suo funzionamento dalla Banca d'Italia. Il ricorso è deciso esclusivamente sulla base della documentazione prodotta dalle parti (ricorrente e intermediario); non è necessaria l'assistenza di un avvocato. Le decisioni dell'ABF non sono vincolanti come quelle del giudice ma, se l'intermediario non le rispetta, la notizia del loro inadempimento è resa pubblica. Dopo una decisione dell'ABF, la parte interessata può comunque ricorrere al giudice ordinario.” Nel dettaglio possiamo dire che un punto di forza dell’Organismo di cui sopra è certamente quello della velocità di risoluzione delle controversie a fronte, però, della non vincolatività delle sue decisioni. La procedura all’ABF è semplice e poco onerosa per il cliente, che deve, infatti versare unicamente la somma di € 20,00 per potere instaurare il procedimento; tra l’altro lo stesso non necessita di difesa tecnica e può pertanto essere instaurato anche senza l’assistenza di un legale; sul punto, peraltro non possiamo fare a meno di sottolineare come la difesa tecnica, in una materia così complessa come il diritto bancario e finanziario, è altamente consigliata. Un’altro elemento che è di sicuro vantaggio per il cliente è quello relativo alla disciplina della soccombenza delle spese: infatti nel caso di rigetto del ricorso il Cliente non viene condannato al rimborso delle spese legali sostenute dall’intermediario, mentre nel caso di accoglimento di norma gli vengono liquidate le spese e gli oneri legali già sostenuti. I tempi, come detto, sono certamente un punto di forza. In un contesto, quale quello italiano in cui le Sentenza non arrivano quasi mai prima di 3-5 anni (a seconda del foro), la durata media dei procedimenti è attualmente di poco superiore ai sei mesi (il Sole 24 ore ha di recente stimato 216 giorni di durata media). Come è composto e dove ha sede l’ABF? Ogni Collegio dell’ABF è composto da 4 membri più il Presidente. Il Presidente e due membri sono individuati e nominati dalla Banca d’Italia, mentre gli altri due membri i sono designati uno dalle associazioni rappresentative dei clienti e l’altro dalle associazioni degli intermediari. A tutti i componenti vengono richiesti requisiti requisiti di professionalità, di onorabilità e imparzialità. Ci sono sei sedi in tutta Italia: Milano, Torino, Bologna, Roma, Napoli, Bari e Palermo. Il collegio di Milano è competente per Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Veneto. Il collegio di Torino è competente per Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Il collegio di Bologna è competente per Emilia-Romagna e Toscana. Il collegio di Roma è competente per Lazio, Abruzzo, Marche ed Umbria. Il collegio di Napoli è competente per Campania e Molise. Il collegio di Bari è competente per Puglia, Basilicata e Calabria Il collegio di Palermo è competente per Sicilia e Sardegna. Quali soggetti possono adire l’ABF? Il Ricorso può essere presentato unicamente da soggetti titolari di un rapporto contrattuale (anche già estinto) o che comunque siano entrati in relazione con un intermediario per la prestazione di servizi bancari / finanziari o di pagamento. Quali sono i imiti di competenza dell’ABF? L’Arbitro Bancario Finanziario ha una competenza limitata alle controversie relative a operazioni e servizi bancari e finanziari intercorsi tra cliente e intermediario con espressa esclusione delle controversi relativa ai servizi ed attività di investimento. Esiste un limite di valore: quando la richiesta del ricorrente ha ad oggetto la corresponsione di una somma di denaro, a qualunque titolo, la controversia può essere trattata solo se l’importo richiesto non sia superiore ad € 100.000,00. Sono escluse dalla competenza dell’ABF: 1) le controversie relative ad operazioni avvenute prima del 01.01.2009; 2) le questioni relative a beni materiali o a servizi che non siano bancari e finanziari; 3) le questioni concernenti altri contratti che siano nel caso funzionalmente collegati al contratto bancario o finanziario (un esempio per tutti: vizi di un bene concesso in leasing o acquistato con un finanziamento al consumo); 4) le richieste di risarcimento dei danni ulteriori (come il danno morale); 5) le controversie per le quali è già pendente una causa o è stata espletata una procedura di mediazione o arbitrale (salvo che la stessa non sia fallita) oppure nei casi di pendenza di un procedimento di esecuzione forzata o di ingiunzione. A livello di competenza territoriale, inoltre, è rilevante il luogo dove il ricorrente ha eletto il proprio domicilio nel ricorso e a tal proposito (dopo la riforma del dicembre 2016) si distinguono i collegi ABF di Milano, Torino, Bologna, Roma, Napoli, Bari e Palermo. Nel dettaglio: I requisiti di ammissibilità del Reclamo all’ABF. Prima di adire l’ABF è necessario avere sporto reclamo all’intermediario (e che lo stesso non sia stato in tutto o in parte accolto) avente ad oggetto la stessa vicenda oggetto del Ricorso all’ABF. In particolare, si può adire l’ABF dopo il rigetto del reclamo da parte dell’intermediario oppure dopo il decorso di 30 giorni senza riscontro. Il Ricorso all’ABF deve essere inoltrato entro dodici mesi dalla risposta dell’intermediario (o dal trentesimo giorno senza risposta. Come accennato il contenuto del Ricorso all’ABF deve essere lo stesso del Reclamo, a pena di inammissibilità. Alla luce di quanto sopra, sarà importante richiedere, già con il reclamo, il rimborso delle spese di assistenza legale in quanto diversamente - a prescindere dall’esito del ricorso - esse non saranno riconosciute in sede arbitrale perché non preventivamente richieste. Le decisioni dell’ABF sono vincolanti? Questo aspetto rappresenta il limite del ricorso all’ABF. Ed invero, se l’intermediario non esegue spontaneamente la decisione, l’0unica conseguenza immediata e diretta di tale contegno è quella, per così dire, reputazionale: infatti di tale inadempimento viene data notizia sul sito dell’ABF, su due quotidiani nazionali e sulla pagina iniziale del sito dell’intermediario stesso, con le indubbie conseguenze sul lato, appunto della reputazione dell’intermediario inadempiente. Ovviamente, se l’intermediario non esegue la decisione, il Cliente nel rivolgersi all’Autorità giudiziaria e vantare la precedente decisione favorevole dell’ABF. Infine, non essendo la decisione vincolante neppure per il cliente, non è escluso che, nell’ipotesi di rigetto, lo stesso possa ugualmente adire l’Autorità giudiziaria.
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La TARI4/29/2020 La TARI
L’esigenza di una gestione dei rifiuti che sia compatibile con l’evoluzione della società, ha spinto i governi e le amministrazioni locali a cercare delle soluzioni affinché il costo della gestione dei rifiuti sia sostenibile e affinché ci sia un adeguato smaltimento dei rifiuti. Non vogliamo entrare nel merito delle singole scelte. Quel che è certo è sono state introdotte delle modalità (vedi il cd Porta a Porta) che incidono profondamente sulla vita dei singoli e che, inevitabilmente, portano alla ribalta il problema della tassazione collegata alla gestione dei rifiuti. Diciamo la verità: tutte le tasse non sono ben viste ma, alla luce delle premesse ben si può comprendere che la cd Tari risulti particolarmente antipatica. Sicuramente, tra le tasse comunali essa risulta, unitamente all’Imu, la più detestata. DEFINIZIONE Tari è l'acronimo di TAssa RIfiuti, la nuova imposta comunale istituita con la legge di stabilità 2014. La tassa rifiuti, nelle intenzioni del legislatore, costituisce il corrispettivo che il Comune richiede a fronte del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti sul proprio territorio. Va però chiarito che, almeno fino ad oggi, non vi è una correlazione immediata tra la quantità di rifiuti prodotti e la relativa tariffa; essa, come vedremo, si basa su una pluralità di presupposti. Tale caratteristica rende evidente che il rapporto tra servizio offerto e tassa non è di immediata correlazione. I Comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico, hanno la facoltà di applicare, in luogo della TARI, che ha natura tributaria, una tariffa avente natura di corrispettivo: in tal modo la tassa sui rifiuti si avvicina al concetto di imposta. Molti comuni hanno annunciato tentativi di introdurre tale correlazione. Fino ad ora si è visto poco ed attendiamo con fiducia i relativi provvedimenti. LE ORIGINI La Tari viene da lontano. Essa infatti ha preso il posto della cd Tares. Essa, a sua volta, era il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi. Fu istituito in sostituzione di TIA (tariffa di igiene ambientale) e TARSU (tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani). Secondo gli studi fatti, attraverso la riunificazione, il tributo aumentò mediamente di circa 30 centesimi a mq. Il tributo è stato in vigore dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2013. La Tari è, invece, in vigore dal 1° gennaio 2014. PRESUPPOSTI Il principio su cui si fonda la Tari è tanto semplice quanto corretto: “chi inquina paga”. Fin qui tutto bene, ma quanto si passa dalle definizioni di principio all'applicazione pratica il quadro diventa meno comprensibile Innanzi tutto i Comuni, spesso per mera semplificazione, possono determinare la propria tariffa secondo i criteri già previsti per la TARSU: in sintesi il costo va individuato in base alla quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie. È chiaro che tale modello si discosta dal principio sopra richiamato, in quanto collega il pagamento a presunzioni derivanti dal numero di componenti del nucleo familiare e dell’estensione dell'appartamento e non alla produzione di rifiuti. Va detto che tal metodo di calcolo è conforme alla norma istitutiva ed ha trovato conferme in pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea del 24.6.2008 nella causa C-188/07 del 16.7.2009 nella causa C254/08. Dette pronunce propongono un ragionamento che si basa, in estrema sintesi, sulla oggettiva difficoltà di ancorare la tariffa alla effettiva produzione di rifiuti: ecco perché abbiamo detto che il principio su cui si basa il tributo in discorso si discosta dalla sua concreta attuazione normativa. Ne consegue che il cd. “metodo normalizzato”, è da considerarsi legittimo sempre che non dia luogo a trattamenti irragionevolmente gravosi per inosservanza del principio di proporzionalità del tributo alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti. Questo contributo non è redatto per fare polemiche: per questo non aggiungiamo la nostra opinione al riguardo. Alla luce delle considerazioni di cui sopra la TARI va calcolata in base alla superficie calpestabile della singola unità immobiliare, iscritta o iscrivibile nel catasto urbano, suscettibile di produrre rifiuti. La norma individua, pertanto, quale presupposto per l’applicazione del tributo l’occupazione di locali ed aree scoperte che si trovano sul territorio del Comune, le cui superfici già dichiarate o accertate, costituivano la base imponibile dei precedenti tributi ( Tarsu, Tia e Tares) . Ne consegue che sono tassati i locali di immobili adibiti a qualsiasi destinazione, con le relative pertinenze e le aree scoperte che non siano accessorie o pertinenziali. Vanno considerate accessorie, e quindi escluse dalla tassazione, le cantine, i locali di sgombero, le scale di accesso, ecc. Analogamente sono escluse le parti comuni del condominio, quali indicate all’art. 1117 del codice civile. A titolo di esempio, è tassabile il giardino, ma non il posto macchina scoperto. Quando, invece, le predette aree sono utilizzate per attività economica, ad esempio aree scoperte incluse nel perimetro di una fabbrica, esse sono sempre tassate. CHI È TENUTO AL PAGAMENTO Sono soggetti passivi, ossia tenuti al pagamento tutti coloro che occupano locali ed aree scoperte, a qualsiasi titolo utilizzate, situate nel territorio comunale. Ebbene si, la definizione è quanto mai ampia e prescinde, per alcuni versi, dalla effettiva capacità di produrre rifiuti. Nel concreto è tenuto al pagamento ogni soggetto che abbia la disponibilità di locali o aree scoperte, a prescindere dal titolo che legittima l’occupazione (proprietà, locazione, uso, ecc.). Venendo al caso più frequente prospettato dai clienti, ossia chi debba pagare la Tari in caso di contratto di locazione, la risposta è che il soggetto passivo è il conduttore. E’ inoltre opportuno precisare, che nei confronti degli appartenenti al nucleo familiare o di chiunque occupi aree e locali in comunione con altri, ciascuno dei coobbligati (conviventi, soci, ecc.) può essere tenuto al pagamento della totalità della tassa, in forza del cosiddetto “vincolo di solidarietà”. Nel caso di multiproprietà (quando esistono più proprietari, i quali fruiscono a turno del medesimo immobile), il soggetto passivo del tributo è il soggetto che gestisce i servizi comuni: quest'ultimo ha poi il diritto di agire, nei confronti dei singoli proprietari, per chiedere il ristoro pro quota delle somme versate. ESENZIONI Sono esenti: le parti condominiali, (art. 1117 CC), semprechè non utilizzate in via esclusiva ; Sono altresì esenti i locali dove è oggettiva l’impossibilità di produrre rifiuti in maniera autonoma (ad es. solai e cantine); Sono, infine, esenti i locali dove, in specifiche circostanze temporali, non è possibile produrre rifiuti, come ad esempio le abitazioni sfitte (purché concorrano altre condizioni su cui si tornerà nei prossimi approfondimenti). Come potrà notarsi il numero delle esenzioni non è certo nutrito; inoltre la prassi ha insegnato che i comuni interpretano i casi di cui sopra con notevoli restrizioni. RIDUZIONI Più nutrito il numero dei casi che possono beneficiare delle riduzioni . In linea generale possiamo affermare che sono previste riduzioni in misura variabile, a seconda delle modalità di erogazione del servizio. La TARI è ridotta alla misura massima del 20% nei seguenti casi: - mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti; - erogazione del servizio in cui si evidenzino gravi violazioni della norma di riferimento; - interruzioni del servizio che possano arrecare danno o pericolo di danno alle persone o all’ambiente. - nel caso di unico occupante dell'immobile ; - per la parte abitativa di case coloniche, occupate da agricoltori; - se l'occupante è residente all'estero per un periodo non inferiore a sei mesi. Diversi regolamenti comunali prevedono che la tariffa possa essere ridotta nel caso di uso non continuativo dell’immobile (pensiamo alle abitazioni per uso stagionale). Tali concetti si riallacciano al più generale principio di “occupazione temporanea”. A tal fine si deve far riferimento alla effettiva durata dell’occupazione nel corso dell’anno. Se la sommatoria dei periodi, anche non consecutivi, in cui l'immobile è occupato, supera i 183 giorni, il tributo dovrà essere corrisposto in misura integrale. Molti comuni ritengono, erroneamente, che tale riduzione sia facoltativa. In realtà essa è diretta conseguenza del principio di proporzionalità del tributo e deriva dal generale concetto, sopra richiamato, del “chi più inquina più paga”. I Comuni possono deliberare riduzioni e esenzioni, entro il 7% dell’intero introito, in base a specifiche condizioni dell’occupante oppure tenendo conto della capacità contributiva della famiglia. CALCOLO La TARI, si compone di una parte fissa ed una variabile, oltre il tributo provinciale da dover conteggiare. La parte fissa è determinata considerando le componenti del costo del servizio di igiene urbana (investimenti e relativi ammortamenti, pulizia strade ecc.) La parte variabile copre i costi del servizio rifiuti integrato, comprensivo di raccolta, trasporto, trattamento, riciclo, smaltimento: essa è rapportata alla quantità di rifiuti presumibilmente prodotti dal componente o dai componenti del nucleo familiare. SCADENZE E MODALITÀ DI PAGAMENTO Il Comune stabilisce le scadenze di pagamento della Tari prevedendo almeno due rate a scadenza semestrale . È consentito il pagamento in un'unica soluzione entro il 16 giugno di ciascun anno. Il versamento della TARI è effettuato secondo le disposizioni di cui all’articolo 17 del decreto legislativo n.241 del 1997 ovvero tramite le altre modalità di pagamento offerte dai servizi elettronici di incasso e di pagamento interbancari e postali . La Tari si può, pertanto, pagare tramite modello F24, bollettino di conto corrente postale, servizi elettronici di incasso e interbancari.
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Concludiamo il ciclo di approfondimenti sul tema delle banche dati del credito (per visionare l’articolo sulla CR clicca qui; per l’articolo sui SIC clicca qui e sui casi di segnalazione illegittima, qui) affrontando ora il tema della risarcibilità del danno da illegittima segnalazione. Accade, infatti, di frequente che in conseguenza di una segnalazione illegittima il soggetto si trovi ad affrontare conseguenze negative. Si pensi ai casi in cui, in conseguenza di una segnalazione a sofferenza effettuata al di fuori dei casi previsti dalla legge, un soggetto si veda negato un finanziamento, subisca la chiusura di altre linee di credito aperte presso differenti Aziende Bancarie o si veda rifiutare l’apertura di un nuovo c/c. Le predette conseguenze non generano, però un risarcimento del danno in re ipsa; il soggetto danneggiato dovrà, in altri termini, provare rigorosamente, oltre al presupposto della propria pretesa anche il pregiudizio subito in concreto. A tale proposito segnaliamo come il primo ostacolo da affrontare per l’ottenimento del risarcimento sia di carattere probatorio. Il soggetto richiedente si troverà, infatti, nelle condizioni di provare il nesso di causalità tra il pregiudizio subito e la condotta dell’intermediario che abbia effettuato l’illegittima segnalazione. Dovrà, ad esempio, dimostrare che non gli è stato concesso il mutuo per l’acquisto di un determinato immobile solo a cagione dell’esistenza di una segnalazione pregiudizievole in CR o nei SIC. Sappiamo che la fase istruttoria di ogni linea di credito è complessa e comporta, oltre all’analisi delle referenze creditizie (sulla portata del termine referenza creditizia vedi qui) anche una serie di altri fattori, quali la capacità reddituale (ossia la possibilità di effettuare, con il proprio reddito, il rimborso del rateo del finanziamento richiesto) oltre che il rapporto tra importo richiesto ed il valore del bene da acquistare, la regolarità urbanistica di quest’ultimo ed altri parametri. Ne consegue che non sempre, dall’analisi del diniego del finanziamento è possibile evincere che lo stesso è dipeso dall’esistenza della segnalazione pregiudizievole; spesso, infatti, la spiegazione viene data verbalmente. In tal caso, al fine di evitare di affrontare un giudizio sulla base di prove testimoniali (che, anche in considerazione della durata media di un processo civile, non paiono idonee ad assicurare una efficace tutela) sarà opportuno che il soggetto richieda un dettaglio dell’eventuale rifiuto. Va da sè che il siffatto problema si porrà anche nel caso in cui la segnalazione illegittima comporti la revoca di altri affidamenti in essere con altre Aziende di credito; anche il tal caso è necessario, ai fini della prova giudiziale dell’esistenza del pregiudizio, che si richieda un dettaglio delle motivazioni. Tali richieste, peraltro, non sempre sono di semplice ottenimento. Ed allora troveranno applicazione, anche in questo caso, i più volte richiamati principi di correttezza e buona fede che devono essere applicati da ogni Azienda di credito nell’ambito di ogni rapporto contrattuale. Sul punto si è espresso anche l’Arbitro bancario e Finanziario che - in conformità con la Comunicazione della Banca d’Italia del 22 ottobre 2007 - ha espressamente riconosciuto il diritto del cliente a conoscere le ragioni del diniego espresso dalla banca (v. sul punto Collegio Coordinamento ABF n. 6182/2013; Cass. Civ. n. 349/2013). Anche ai sensi della normativa sulla Privacy il cliente che abbia fatto richiesta di una linea di credito e che abbia ricevuto un diniego, ha diritto ad accedere ad ogni documento relativo alla propria posizione. In sostanza la richiesta di risarcimento del danno incontra, da parte della giurisprudenza un atteggiamento di rigore, precisamente espresso nella Sentenza della Corte di Cassazione 1931/2017, in base alla quale ha già avuto modo di chiarire che ai fini probatori non è sufficiente fornire la prova delle linee guida adottate dalla banca nel concedere finanziamenti ma occorrerà altresì dimostrare come si siano concretamente svolti i fatti nella fattispecie oggetto del giudizio. Quanto sopra riguarda l’An debeatur. Quale tipo di prova richiede, invece la quantificazione del danno? Sul punto ovviamente non è possibile fornire delle risposte precise in quanto ogni danno andrà valutato in re ipsa. Si possono, peraltro ipotizzare alcuni scenari che soggiaceranno, peraltro, al principio dell’onere probatorio in base al quale actore non probante reo absolvitur. Poniamo il caso del diniego di un mutuo in conseguenza dell’illegittima segnalazione: Tizio stipula un contratto preliminare di compravendita di un immobile; versa un acconto ed è tenuto a saldare il residuo prezzo al momento del rogito ma ha la necessità di ottenere un mutuo per avere la disponibilità della predetta somma. Laddove, in conseguenza dell’illegittima segnalazione dovesse subire la risoluzione del preliminare con conseguente perdita dell’acconto versato, egli subirà una serie di danni, quali, per rimanere nell’esempio, la perdita dell’acconto, la perdita di chance di acquistare l’immobile, l’eventuale differenza di prezzo per l’acquisto di altro immobile dopo la cessazione della illegittima segnalazione e così via. Può essere, in astratto, configurabile anche un danno non patrimoniale. Si pensi al caso di un imprenditore che subisca una segnalazione illegittima e venga leso anche nella propria reputazione commerciale personale e commerciale del soggetto, qualificabile come un vero e proprio diritto della personalità come tale costituzionalmente garantito ai sensi dell’art. 2 della Cost. Astrattamente configurabile (con i ben noti limiti), anche il danno morale, quale altra voce di danno non patrimoniale. Sul punto la Cassazione ha più volte chiarito che tale danno può essere subito (e di conseguenza anche risarcito) oltre che dalla persona fisica dalla persona giuridica. Sul punto richiamiamo il principio in base al quale “anche nei confronti dell'ente collettivo è configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale intesa come qualsiasi conseguenza pregiudizievole di un illecito che, non prestandosi ad una valutazione monetaria basata su criteri di mercato, non possa essere oggetto di risarcimento ma di riparazione: allorquando, cioè, il fatto lesivo incida su di una situazione giuridica dell'ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla costituzione” (Cass. Civ. n. 15609/2014; Cass. Civ. n. 22396/2013; Cass. Civ. n. 29185/208; Cass. Civ. n. 12929/2007). Circa la quantificazione del danno non patrimoniale, infine, è dato rilevare che lo stesso dovrà essere liquidato dal Giudice in via equitativa, sulla base di un giudizio che terrà conto delle peculiarità del caso concreto nonché della esistenza o meno di una o più delle componenti del danno non patrimoniale sopra illustrate (danno alla reputazione personale e commerciale, danno morale).
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La cessione del quinto, in maniera analoga al prestito personale, è un finanziamento a tasso fisso con rimborso a rate costanti.
In questa forma di contratto, a differenza di quanto accade con il prestito personale - riguardo al quale preannunciamo uno specifico approfondimento - il rimborso delle rate non viene effettuato dal richiedente bensì dal suo datore di lavoro (o dall’istituto previdenziale nel caso di pensionati) e il relativo importo è trattenuto direttamente dal netto in busta paga (o dalla pensione). Il datore di lavoro è pertanto il soggetto deputato a versare le rate a favore dell’Istituto che ha erogato il prestito. Si parla di cessione del quinto in quanto l’importo della rata di rimborso non può normalmente eccedere la quinta parte dello stipendio netto mensile. In talune situazioni, allo scopo di aumentare la somma erogata, è tuttavia possibile arrivare ad una rata massima pari a due quinti dello stipendio; per far ciò è necessario sottoscrivere oltre che al contratto di cessione del quinto, anche un contratto di delega del pagamento, che impegna l’altro quinto dello stipendio. Le modalità di concessione sono regolate dalla Legge 14 maggio 2005 n.80, che ha aggiornato il DPR 5 gennaio 1950 n.180. Possono accedere a questa categoria di credito i dipendenti statali, parastatali e di aziende private, nonché i pensionati. Il predetto finanziamento comprende una pluralità di costi, spesso piuttosto elevati. Infatti, il costo complessivo sostenuto dal consumatore per accedere al finanziamento è molto gravoso, in quanto quest’ultimo deve farsi carico, oltre che degli interessi, degli oneri di assicurazione e di istruttoria, nonché, il più delle volte, della provvigione dell’intermediario con la società finanziaria. Tutti questi costi, sono immediatamente posti a carico del consumatore, essendo decurtati dall’importo erogato, così che quest’ultimo riceve in prestito una somma di molto inferiore a quella che dovrà restituire attraverso la rateizzazione. Elementi essenziali della cessione. La legge stabilisce che un contratto di cessione del quinto deve contenere i seguenti elementi: *il tasso di interesse praticato; *ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi i maggiori oneri in caso di mora; *l’ammontare e le modalità del finanziamento; *il numero, gli importi e la scadenza delle singole rate; *il tasso annuo effettivo globale (TAEG); * il dettaglio delle condizioni analitiche secondo cui il TAEG può essere eventualmente modificato; * l’importo e la causale degli oneri che sono esclusi dal calcolo del TAEG; *le eventuali garanzie richieste; *le coperture assicurative. Lo studio scrivente si occupa, fin dall'introduzione della normativa anti usura di problematiche bancarie. Per questo la prima riflessione che prende corpo, dopo aver descritto le caratteristiche del finanziamento è la seguente. La cessione del quinto soggiace alla normativa anti usura? Riteniamo che la risposta sia da intendersi in senso positivo ed ora vediamo il perchè. La cessione del quinto è certamente una delle forme di finanziamento più sicure per gli istituti di credito. Ciò avviene per la presenza (obbligata) di una polizza assicurativa che garantisce l’istituto erogante in caso di morte ed ai vincoli sul TFR in caso di interruzione del rapporto di lavoro. Al riguardo un inciso importante: il lettore non deve farsi ingannare dalla presenza della definizione “polizza”. Infatti, salvo il caso morte, la compagnia di assicurazione che la emette, ha sempre diritto di rivalsa sull’assicurato. La presenza della sopra citata polizza va, a sua volta, ad incidere sul costo complessivo del finanziamento. Pertanto la presenza della polizza assicurativa, rappresenta una delle concause (unitamente al costo delle commissioni e di tutti gli altri oneri connessi all’erogazione del credito, spesso non inseriti nel calcolo del TAEG) che possono determinare l'applicazione di tassi di interesse superiori a quelli previsti dalla normativa anti-usura. Le interpretazioni portate avanti dallo Studio che redige il presente contributo, hanno trovato conferma nelle parole della Corte di Cassazione Nella Sentenza del 24-09-2018, n. 22458, La Suprema Corte ha rilevato che , ad esempio, le Istruzioni del 2006 per la rilevazione del tasso effettivo globale medio, ai sensi della legge sull'usura, nella prima parte del medesimo paragrafo C4, prevedono che “Ai sensi della legge il calcolo del tasso deve tenere conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito”. Queste parole, a loro volta non sono nuove perché riecheggiano il contenuto del comma 4 dell’art. 644 c.p. che considera rilevanti ai fini della verifica ogni costo, le sopracitate spese, con la conseguenza che tale deroga (relativa alle spese di assicurazione obbligatoria) contenuta nella seconda parte del paragrafo C4 delle istruzioni sopra richiamate “non può consentire la pretermissione della regola generale dettata nella prima parte del paragrafo, atteso che questa non è altro che la riproduzione della norma penale”. Questo significa, in soldoni, che è stata disconosciuta l’opposta teoria sostenuta dalle finanziarie che non consideravano, nel costo del contratto, alcune voci, tra cui appunto, il costo della polizza di assicurazione per il caso di morte, invalidità, infermità o disoccupazione del debitore. In conclusione, pare ormai acclarato che per la Cassazione il carattere obbligatorio ex lege della spesa assicurativa, ai sensi del D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 54, non esclude detta spesa da quelle da computare per il calcolo del tasso usura. Quali sono le conseguenze del superamento del Tasso soglia nella cessione del quinto? In linea di principio una corretta applicazione delle norme comporta la cd gratuità del rapporto in applicazione dell’art. 1815 c.c. Questo significa che il debitore deve restituire il capitale ottenuto con il finanziamento ma dovrà ottenere, a sua volta, la restituzione degli interessi, eventualmente, corrisposti se il loro ammontare supera l'importo del finanziamento. Dobbiamo però chiedere al lettore di rivolgere l'attenzione sul fatto che non tutti i Tribunali hanno la prontezza di adeguarsi al sopradescritto insegnamento, per cui raccomandiamo una certa prudenza, ossia una attenzione particolare ai contenuti delle perizie econometriche necessarie per intraprendere i predetti giudizi restitutori e di rivolgersi sempre a studi legali competenti e di esperienza. Un approfondimento sul tema dell’usura bancaria sempre sul nostro sito all’indirizzo: https://www.studiolegalemdg.com/notizie/september-18th-2019
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L’illegittimità della segnalazione in CR e nelle altre Banche dati del sistema creditizio.4/24/2020 In altri due precedenti approfondimenti ci siamo occupati della Centrale Rischi della Banca d’Italia (per maggiori informazioni clicca qui) e delle altre banche dati, principalmente SIC, che gravitano nella galassia bancaria e creditizia (per maggiori informazioni clicca qui). Abbiamo, pertanto, ben chiaro che le segnalazioni che sono effettuate nelle predette banche dati costituiscono un fondamentale strumento di indagine che Banche ed intermediari creditizi utilizzano per analizzare il merito creditizio ossia la possibilità di concedere ad un soggetto una determinata linea di credito, per il fatto della sua reputazione creditizia. A questo punto occorre indagare approfonditamente sulle possibili (ed in verità neppure tanto improbabili) occasioni in cui le segnalazioni vengano effettuate in violazione della normativa che le sovrintende e sulle conseguenze di tali violazioni. Le fattispecie di segnalazione illegittima sono varie ed assumono una connotazione formale (ad esempio mancato preavviso da parte dell’intermediario creditizio della prossima segnalazione o mancato aggiornamento) o sostanziale (errata valutazione nel merito). Alla luce della nostra esperienza riteniamo di dovere iniziare a trattare proprio da quest’ultimo punto. 1) Errata valutazione della condizione patrimoniale ed economica del segnalato “a sofferenza” Accade, più frequentemente di quanto si sarebbe portati a credere, che venga effettuata un’erronea valutazione da parte dell’intermediario creditizio circa la complessiva situazione patrimoniale e finanziaria del cliente il quale viene, di conseguenza, segnalato “a sofferenza” nella CR. Ed invero prima di procedere all’iscrizione nel registro dei crediti “a sofferenza” nelle banche dati creditizie è necessario che l’intermediario compia una approfondita analisi sulla situazione patrimoniale e finanziaria. In altri termini, il mero inadempimento concernente un rapporto creditizio non può determinare la segnalazione di cui trattasi, specie se si è di fronte ad un ritardo di esigua entità. Per potere considerare una posizione a sofferenza il cliente deve trovarsi in una condizione qualificabile come una vera e propria “insolvenza”. E’ bene precisare, peraltro, che non è necessario, da parte dell’intermediario del credito operare un’analisi sul modello dell’insolvenza fallimentare ma è comunque richiesto un approfondimento mirante a verificare se il soggetto si trovi o meno nella condizione di “grave e non transitoria difficoltà economica equiparabile anche se non coincidente, con la condizione di insolvenza” come chiarito in alcune Sentenze del Supremo Collegio di legittimità: Cass. Civ. n. 21428/2007; Cass. Civ. n. 7958/2009; Cass. Civ. n. 23093/2013. I Giudici di merito hanno poi ulteriormente chiarito alcuni principi; sul punto ricordiamo la Sentenza n. 1057 del 13/11/2018 del Tribunale Arezzo che ha sancito che “Lo stato di insolvenza – non necessariamente coincidente con quello proprio della disciplina fallimentare – rilevante ai fini della segnalazione del debitore alla Centrale rischi scaturisce da una valutazione negativa della situazione patrimoniale del medesimo, evincibile anche da una grave difficoltà economica, che induce la definitiva irrecuperabilità del credito, sulla base di circostanze di fatto (quali la pluralità di inadempimenti, la costituzione di garanzie reali in favore di terzi o l’esistenza di procedure esecutive infruttuose) che devono essere specificatamente indicate dal giudice di merito, in mancanza potendo ravvisarsi il vizio di insufficiente motivazione”. Il Tribunale di Milano, nella sentenza della sez. VI del 30/06/2018, ha chiarito inoltre che “La segnalazione a sofferenza dalla Centrale Rischi non può scaturire dal mero ritardo nel pagamento del debito o da volontario inadempimento, ma deve essere determinata dal riscontro di una situazione patrimoniale deficitaria, caratterizzata da una grave e non transitoria difficoltà economica equiparabile, anche se non coincidente, con la condizione d’insolvenza, come richiesto dalla circolare Banca d’Italia n. 139/1991 e succ. agg.. In ultimo, Tribunale di Firenze, con sentenza n. 2276/2012, ha precisato che “l’istituto di credito ha senz’altro l’obbligo di compiere una approfondita istruttoria prima di effettuare la segnalazione, per verificare sulla base di elementi oggettivi – quali la liquidità del soggetto, la sua capacità produttiva e/o reddituale, la situazione contingente del mercato in cui opera, l’ammontare complessivo del credito ottenuto dal sistema creditizio e/o finanziario, se sussista davvero in concreto una situazione che induca a ritenere il credito a sofferenza ossia tale per cui appaiano sussistere rilevantissime difficoltà di recuperarlo ”. In sostanza è compito dell’intermediario - anche in adempimento dei doveri di dei canoni di correttezza e buona fede richiesti nello svolgimento di ogni rapporto obbligatorio secondo le norme codicistiche ex artt. 1715, 1374, 1375 c.c.. - quello di effettuare un’approfondita valutazione prima di segnalare a sofferenza il credito del cliente; in caso contrario la segnalazione sarà illegittima con la possibilità di determinare il risarcimento del danno cagionato. 2) Mancato invio del preavviso di cui all’art 125, comma 3°, del TUB e art. 4, comma 7, del Codice di deontologia. In ordine al mancato preavviso, la prima norma da esaminare è l’art 125, comma 3°, del TUB che dispone: “I finanziatori informano preventivamente il consumatore la prima volta che segnalano a una banca dati le informazioni negative previste dalla relativa disciplina. L'informativa è resa unitamente all'invio di solleciti, altre comunicazioni, o in via autonoma”; in sostanza un generico obbligo di preavviso, che viene precisato nell’art 4, comma 7, del Codice di deontologia (Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti - Art.117 del Decreto Legislativo n.196/2003) che dispone: “Al verificarsi di ritardi nei pagamenti, il partecipante, anche unitamente all'invio di solleciti o di altre comunicazioni, avverte l'interessato circa l'imminente registrazione dei dati in uno o più sistemi di informazioni creditizie. I dati relativi al primo ritardo di cui al comma 6 possono essere resi accessibili ai partecipanti solo decorsi almeno quindici giorni dalla spedizione del preavviso all'interessato. Da ciò si evince che la mancanza del doveroso preavviso al cliente persona fisica determina l’illegittimità della segnalazione; a tal fine si è precisato che l’onere probatorio circa l’avvenuta conoscenza (o conoscibilità) da parte del cliente, grava sull’intermediario; pertanto inviare il preavviso con posta ordinaria di tale preavviso non potrà assolvere a tele onere in caso in cui il cliente contestasse l’avvenuta ricezione. Come già evidenziato al precedente punto anche l’invio del preavviso costituisce adempimento dei doveri di dei canoni di correttezza e buona fede richiesti nello svolgimento di ogni rapporto obbligatorio secondo le norme codicistiche; esso consente, infatti, al cliente di intervenire prima che la segnalazione venga effettuata con le bene note conseguenze pregiudizievoli per la sua reputazione creditizia. 3) Mancato aggiornamento della segnalazione. Può accadere, inoltre che, dopo che l’intermediario abbia effettuato una legittima segnalazione, siano accaduti atti estintivi o modificativi della posizione e che il soggetto abbia messo di effettuare un tempestivo aggiornamento. Ciò può avvenire, ad esempio, nelle ipotesi in cui la posizione sia modificata a seguito di pagamento (anche con transazioni tra intermediario e cliente) o di provvedimento giudiziario che abbia modificato il quantum del credito (quand’anche non lo abbia escluso). In tali ipotesi il cliente potrà ottenere la cancellazione o rettifica della segnalazione dalla data dell’evento modificativo (ad esempio stipula del piano di rientro). Anche in tal caso la condotta è suscettibile di un risarcimento del danno. 4) Altre ipotesi Dopo avere affrontato il tema delle segnalazioni illegittime nel sistema creditizio affrintaiumo ora due temi connessi ma che operano sul altro campo, quello della illegittimità della segnalazione alla CAI (Centrale di Allarme Interbancaria) e dell’iscrizione nel Registro Informatico dei Protesti. 4.1) Illegittima segnalazione in CAI. L’omesso preavviso previsto dall’art. 9 bis della legge n. 386/1990 determina l’illegittimità della segnalazione nel CAI. Ricordiamo che la segnalazione di un soggetto nel CAI comporta il divieto per gli intermediari di rilasciare nuove carte di credito o nuovi libretti di assegni per tutto il periodo oggetto di segnalazione. In merito al preavviso il predetto articolo dispone: “1. Nel caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, di un assegno per difetto di provvista, il trattario comunica al traente che, scaduto il termine indicato nell'articolo 8 senza che abbia fornito la prova dell'avvenuto pagamento, il suo nominativo sarà iscritto nell'archivio di cui all'articolo 10- bis e che dalla stessa data gli sarà revocata ogni autorizzazione ad emettere assegni. Con la comunicazione il traente è invitato a restituire, alla scadenza del medesimo termine e sempre che non sia effettuato il pagamento, tutti i moduli di assegno in suo possesso alle banche e agli uffici postali che li hanno rilasciati. 2. La comunicazione è effettuata presso il domicilio eletto dal traente a norma dell'articolo 9-ter entro il decimo giorno dalla presentazione al pagamento del titolo, mediante telegramma o lettera raccomandata con avviso di ricevimento, ovvero con altro mezzo concordato tra le parti di cui sia certa la data di spedizione e quella di ricevimento. 3. Anche in deroga a quanto stabilito dall'articolo 9, comma 2, lettera b), l'iscrizione del nominativo del traente nell'archivio non può aver luogo se non sono decorsi almeno dieci giorni dalla data di ricevimento della comunicazione. 4. La comunicazione si ha per effettuata ove consti l'impossibilità di eseguirla presso il domicilio eletto.” Succede, anche in questo caso più spesso di quanto sarebbe auspicabile (alle luce delle conseguenze) che la Banca ometta di inviare al cliente la raccomandata a.r. di preavviso di segnalazione. Detta omissione comporta l’illegittimità della segnalazione con conseguente possibilità, da parte del cliente, di ottenere il ristoro del danno. 4.2) Illegittimità dell’iscrizione nel Registro Informatico dei Protesti Un’ipotesi ulteriore è rappresentata dall’iscrizione nel Registro Informatico dei Protesti al di fuori dei casi consentiti. Può accadere, infatti che il protesto sia stato legato in maniera illegittima e che tale illegittimità travolga la successiva iscrizione. Ai sensi dell’art. 4, 2o co., l. 77/1955 la cancellazione dal registro informatico dei protesti può “essere presentata da chiunque dimostri di aver subito levata di protesto, al proprio nome, illegittimamente od erroneamente, nonché dai pubblici ufficiali incaricati della levata del protesto o dalle aziende di credito, quando si è proceduto illegittimamente od erroneamente alla levata del protesto”. E’ illegittimo il protesto levato fuori dai casi consentiti dalla legge o senza l'osservanza delle norme da questa previste; è invece erroneo il protesto che, pur consentito su un piano strettamente cartolare, sia in contrasto con fatti o accordi intercorsi tra le parti, o sia conseguenza di una condotta negligente dell’ufficiale procedente. Il tema del risarcimento del danno sarà affrontato in un prossimo contributo.
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Oltre alla Centrale Rischi della Banca d’Italia (C.R.) della quale abbiamo parlato in occasione di altro approfondimento (https://www.studiolegalemdg.com/notizie/la-segnalazione-nella-centrale-rischi-di-banca-ditalia-e-le-modifiche-introdotte-dal-decreto-cura-italia) vi sono varie altre Banche dati della quali si avvalgono gli intermediari del credito per operare una compiuta valutazione del merito creditizio della clientela. Infatti, quando un cliente chiede alla banca o ad una finanziaria un prestito, viene avviata un’istruttoria per conoscere la sua affidabilità. L’obiettivo dell’istruttoria è quello d’individuare la c.d. referenza creditizia. Cos’è la referenza creditizia? La referenza creditizia è la reputazione che il cliente ha presso banche e intermediari finanziari nell’ambito dei rapporti di finanziamento che intrattiene o ha in passato intrattenuto. Il cliente che, dai controlli effettuati attraverso le varie Banche dati, risulta aver sempre pagato con regolarità le rate di rimborso avrà certamente una referenza creditizia positiva; viceversa, laddove vi siano insolvenze, ritardi o morosità il soggetto verrà considerato “cattivo pagatore”, ossia avrà una referenza negativa. E’ evidente che si tratta di un terreno delicatissimo in quanto dal trattamento delle varie informazioni sui rapporti finanziari dipende l’accesso al credito dei consumatori. Ciò ha indotto il legislatore a prevedere una disciplina specifica della materia attraverso un codice deontologico sottoscritto dalle associazioni rappresentative degli operatori del settore. Il codice deontologico è vincolante sul piano normativo e fissa garanzie per gli interessati; il suo mancato rispetto determina sanzioni ed espone al risarcimento del danno) Cosa sono i Sistemi di Informazioni Creditizie - SIC? I SIC sono banche dati o archivi (pubblici o privati) che raccolgono informazioni in merito alla richiesta, all’apertura e all’andamento di rapporti di credito. I SIC - un tempo noti come “centrali rischi private” - sono le banche dati private usate da banche e finanziarie per la referenza creditizia. Tali banche dati, a differenza della CR presso la Banca d’Italia, includono anche i finanziamenti inferiori a € 30.000,00 Le informazioni sono gestite in modo centralizzato e sono consultabili solo dai soggetti che vi hanno aderito e che le comunicano; in altri termini gli intermediari non sono obbligati ad effettuare tali segnalazioni e chi aderisce alle SIC (banca o finanziaria) dovrà pagare alla società privata il compenso pattuito per usufruire del servizio di accesso ai dati dei clienti. L’attività dei SIC privati è disciplinata dal “Codice di deontologia” pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 300 del 23 dicembre 2004 ed emanato in attuazione del “Codice sulla privacy” (D. lgs. n.196/2003). Il Codice di deontologia è stato sottoscritto dai gestori dei SIC, dai rappresentanti degli enti finanziari, da alcune associazioni dei consumatori e dal Garante per la protezione dei dati personali. I SIC attivi attualmente in Italia sono Experian, Consorzio Tutela Credito, Crif, e Assilea (fonte: Banca d’Italia). I sistemi informativi contengono sia informazioni creditizie di tipo negativo ( relative a rapporti di credito per i quali si sono verificati inadempimenti o ritardi) ed informazioni creditizie generali (richieste/rapporti di credito anche in bonis). Tutela della referenza creditizia Il cliente ha alcuni strumenti per correggere eventuali segnalazioni errate o per chiedere aggiornamenti, ad esempio quando le irregolarità siano state sanate. In generale, vi è l’obbligo del segreto per le banche e gli intermediari che consultano i sistemi. Gli intermediari bancari e finanziari e i gestori dei SIC hanno l’obbligo di controllare l’esattezza delle informazioni e di aggiornarle tempestivamente. Il cliente ha diritto, di conoscere le informazioni registrate a proprio nome nell’archivio e di richiedere la cancellazione o modifica di dati non corretti. L’eliminazione, l’integrazione e la modifica può essere disposta anche con provvedimento dell'Autorità Garante per la privacy. Il trattamento dei dati può riguardare solo dati personali di tipo obiettivo (ad esempio numero di rate insolute, entità del credito scaduto) individuati dal codice deontologico; non è possibile inserire giudizi (come “cattivo pagatore”). Prima di procedere alla segnalazione l’intermediario deve avvisare l'interessato che potrà evitare la segnalazione ai SIC relativa al primo ritardo nei rimborsi con il versamento della rata scaduta. Un successivo ritardo nei pagamenti nell'ambito del medesimo rapporto di credito, invece, può essere segnalato senza avviso. E’ previsto che le informazioni siano conservate per periodi predefiniti, allo scadere dei quali esse vengono automaticamente cancellate dal sistema. I tempi di conservazione variano in relazione alla tipologia e alla gravità dell'irregolarità. Quando i pagamenti vengono regolarizzati, le informazioni sui ritardi nei pagamenti sono conservate fino a 12 mesi dalla data della regolarizzazione, se il ritardo nei pagamenti non è superiore a due rate; la conservazione dura invece 24 mesi se si tratta di ritardo superiore a 2 rate (o due mensilità). Le informazioni vengono automaticamente cancellate dal sistema salvo che, nel frattempo, non si siano verificati ulteriori ritardi nel medesimo rapporto contrattuale. In tal caso, il decorso riprende dalla data della nuova regolarizzazione. Le informazioni negative circa i ritardi nei pagamenti non regolarizzati, invece, sono mantenute per la durata di 36 mesi dalla data di cessazione del rapporto contrattuale. Prima della scadenza dei termini sopra indicati, non è possibile ottenere la cancellazione delle segnalazioni attinenti a comportamenti irregolari, sebbene essi siano stati sanati. Il rispetto delle previsioni normative in ordine alla tutela della referenza creditizia compete al Garante per la protezione dei dati personali, che può disporre verifiche periodiche ai SIC. Ogni violazione potrà essere sanzionata in base alla normativa sulla privacy. Altre banche dati: CAI e Registro Informatico dei Protesti. La Centrale d’Allarme Interbancaria (CAI) contiene i dati relativi alle carte di credito e alla loro eventuale revoca, nonché le informazioni sull’eventuale emissione di assegni non coperti, la revoca alla possibilità di emettere assegni ed altre tipologie di dati negativi su questa categoria di titoli finanziari. Può essere consultata solo dagli intermediari e serve per impedire ai soggetti sanzionati a seguito di protesti, o in conseguenza del mancato saldo di acquisti effettuati con carta di credito, di far nuovamente ricorso a tali strumenti di pagamento per i termini stabiliti (di regola sei mesi). Nel caso di protesto di cambiali o assegni la segnalazione definitiva alla CAI può essere evitata con il pagamento tardivo dell’assegno protestato o della cambiale protestata, entro 60 giorni dalla segnalazione medesima, con maggiorazione del 10% a titolo di interessi di mora ed oltre al saldo di ulteriori oneri e spese. Il Registro Informatico dei Protesti (c.d. R.I.P.) è gestito dalla Camera di Commercio ed è liberamente consultabile da chiunque; contiene tutte le informazioni relative ai protesti per mancato pagamento di cambiali (sia vaglia cambiari che tratte) e di assegni bancari ed assegni postali. La tutela contro le segnalazioni illegittime L’argomento è di estrema importanza, ragion per cui ne parleremo in un separato articolo.
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Il c.d. Decreto “Cura Italia” ha introdotto alcune modificazioni anche relativamente alla tematica della segnalazione alla Centrale Rischi. Per chiarire di cosa si tratta è bene effettuare un preambolo relativo alla natura ed alla funzione della C.R. Cos’è la CR di Banca d’Italia? La CR è stata istituita in virtù delle seguenti norme: a) Art. 53 c. 1 lettera b e art. 107 c. 2 d. lgs. 385/1993 (Testo Unico Bancario) che recita: (Vigilanza regolamentare) 1. La Banca d’Italia emana disposizioni di carattere generale aventi a oggetto: a) l’adeguatezza patrimoniale; b) il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni; c) le partecipazioni detenibili; d) il governo societario, l’organizzazione amministrativa e contabile, nonché i controlli interni e i sistemi di remunerazione e di incentivazione (2); d-bis) l’informativa da rendere al pubblico sulle materie di cui alle lettere da a) a d) (3) (4). attribuzione alla banca D’Italia del potere di emanare, su conforme deliberazione del CICR, provvedimenti in materia di contenimento del rischio); b) La Delibera CICR (Comitato interministeriale per il credito e il risparmio) del 29 marzo 1994, che ha affidato la gestione della Centrale dei Rischi alla Banca d’Italia, oltre che nelle istruzioni per gli intermediari creditizi di cui alla circolare della Banca d’Italia del 22 giugno 2004. Inoltre dobbiamo citare - la delibera CICR del 29 marzo 1994, pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 20 aprile 1994, adottata in base agli artt. 53, comma 1, lett. b) 67, comma 1, lett. b), e 107, comma 2, del d-lgs 1° settembre 1993, 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia;
Esistono oltre alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia, altre società private c.d. SIC (Società di Informazioni Creditizie) che raccolgono dati limitatamente ai finanziamenti concessi dagli intermediari aderenti al sistema (anche in caso di saldo regolare delle rate mensili) e che includono altresì lo scaglione compreso tra le poche migliaia di euro e la somma di € 30.000,00. Che natura e che funzioni ha la CR? La Centrale Rischi è un sistema informativo con carattere pubblicistico, che ha per oggetto l'indebitamento della clientela verso le banche e verso le società finanziarie (intermediari); in essa devono confluire le segnalazioni da parte degli intermediari del credito relative all’indebitamento della clientela ai fini dello svolgimento del servizio centralizzato dei rischi in base agli artt. 51, 66, comma 1, e 107, comma 3, del citato Testo unico. Ogni mese gli intermediari devono comunicare alla Banca d'Italia il totale dei crediti verso i propri clienti, limitatamente a quelli pari o superiori ad € 30.000,00, oltre ai crediti in sofferenza di qualunque importo purché riferibili a finanziamenti concessi per somme pari o superiori ai medesimi € 30.000,00. Parimenti la Banca d’Italia, fornisce mensilmente agli intermediari le predette informazioni, comprensive del debito totale verso il sistema creditizio di ciascuno dei clienti segnalati. I dati inseriti in CR sono accessibili agli intermediari, agli organi giudiziari e di polizia giudiziaria (unicamente per ragioni di giustizia) nonché alle istituzioni, alle autorità, alle amministrazioni o agli enti pubblici nei soli casi di legge; ovviamente sono accessibili al soggetto interessato. La Centrale dei Rischi persegue quindi l’interesse pubblico di informare il sistema bancario del fatto che un determinato soggetto risulti inadempiente rispetto a determinati finanziamenti (superiori a € 30.000,00) oppure che sia già gravato da un’esposizione debitoria alquanto rilevante (sempre almeno € 30.000,00) anche se in regolare adempimento. Esistono oltre alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia, altre società private c.d. SIC (Società di Informazioni Creditizie) che raccolgono dati limitatamente ai finanziamenti concessi dagli intermediari aderenti al sistema (anche in caso di saldo regolare delle rate mensili) e che includono altresì lo scaglione compreso tra le poche migliaia di euro e la somma di € 30.000,00 e delle quali ci occuperemo in altro contributo. La sua natura è pertanto quella di tutelare l’interesse pubblico a tutela della solvibilità del sistema creditizio. In altri termini lo scopo della CR è quello di migliorare le procedure di valutazione del merito creditizio, rafforzando così la stabilità finanziaria di tutto il sistema creditizio. E’ però basilare che le informazioni vengano fornite in maniera corretta da parte degli intermediari e pertanto l’utente ha un diritto soggettivo a non vedersi pregiudicato per notizie false, incomplete e imprecise. In altri termini è necessario nell’ambito della segnalazioni tenere presente un corretto bilanciamento di due esigenze, da un lato quella di evitare che un soggetto non solvibile acceda al credito e dall’altro evitare che una segnalazione fallace impedisca l’accesso al credito a soggetti meritevoli. In un successivo approfondimento ci occuperemo in maniera dettagliata della questione relativa alla illegittimità della segnalazione in CR. Cosa sono le segnalazioni a sofferenza? Come già accennato, gli intermediari devono segnalare le esposizioni dei propri clienti in sofferenza in riferimento ai finanziamenti concessi per almeno € 30.000,00. Per potere effettuare legittimamente tale segnalazione l’intermediario dovrà appurare che il cliente si trovi in un vero e proprio stato di “insolvenza”, non essendo sufficiente, a tal fine, il mero inadempimento del cliente ad un solo rapporto o il suo tardivo adempimento. In altri termini è necessario che il cliente si trovi in una situazione di instabilità patrimoniale e finanziaria. Pertanto, per potere effettuare la segnalazione di un credito come sofferente, è necessario tenere in considerazione l’intera situazione economico-patrimoniale del debitore, vale a dire il quadro complessivo dei rapporti di dare/avere esistenti tra Azienda di Credito e cliente. Per quanto riguarda la cancellazione della segnalazione in Centrale dei Rischi, infine, va osservato che gli intermediari possono consultare le segnalazioni di ogni soggetto per i 36 mesi precedenti; ne consegue che per fare si che non sia più possibile vedere una segnalazione, occorrerà attendere appunto 3 anni dalla data dell’eventuale pagamento. L’intermediario, infatti, una volta cessata la situazione di sofferenza, cesserà di segnalare il soggetto ma le segnalazioni pregresse saranno ancora visibili agli intermediari per i successivi 36 mesi. Le modifiche nel Decreto Cura Italia. Il c.d. Decreto Cura Italia, in considerazione dello stato di difficoltà finanziaria in cui si trovano numerose imprese, costrette alla chiusura o ad un ridimensionamento delle loro attività in conseguenza delle misure di contenimento adottate per fare fronte all’emergenza COVID-19, ha previsto delle modifiche relative anche alla segnalazione in C.R. L’art 56 ha, in sostanza, previsto una sorta di moratoria per le segnalazioni in CR laddove i presupposti per l’effettuazione della stesse siano sorti in data successiva a quella dell’entrata in vigore delle misure di contenimento che hanno imposto la chiusura di gran parte delle attività produttive. In particolare si prevede che gli intermediari non debbano segnalare: 1) sconfinamenti relativi a finanziamenti accordati a imprese beneficiarie delle misure di cui all’art. 56, co. 2, lett. a) e b) del D.L. Ciò in quanto le misure tali misure prevedono l’irrevocabilità e la proroga della scadenza dei finanziamenti non rateali. 2) le rate scadute - in quanto sospese - nel caso di finanziamenti accordati a imprese beneficiarie della misura di cui all’art. 56, co. 2, lett. c); Questo in quanto la predetta disposizione prevede la sospensione del pagamento delle rate di mutui e di altri finanziamenti a rimborso rateale. Infine, chi ha beneficiato della sospensione del rimborso del finanziamento non potrà essere classificato a sofferenza dal momento in cui il beneficio è stato accordato. Di seguito riportiamo la Comunicazione della Banca d’Italia del 23 marzo 2020 - Decreto Legge “Cura Italia” (D.L. n. 18 del 17 marzo 2020) - Precisazioni in materia di segnalazioni alla Centrale dei rischi - La comunicazione è rinvenibile anche al seguente link: https://www.dirittodelrisparmio.it/wp-content/uploads/2020/04/Decreto-Cura-Italia-Precisazioni-in-merito-alle-segnalazioni-alla-Centrale-dei-rischi.pdf Il Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18 recante “Misure di potenziamento del servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” all’art. 561 prevede che le imprese, come definite al comma 5 – in relazione alle esposizioni debitorie nei confronti di banche, di intermediari finanziari previsti dall’art. 106 del d.lgs. n. 385 del 1° settembre 1993 (Testo unico bancario) e degli altri soggetti abilitati alla concessione di credito in Italia – possono avvalersi dietro comunicazione di alcune misure di sostegno finanziario. Tra le suddette misure, il comma 2 dell’art. 56 prevede che: • lett. a) “per le aperture di credito a revoca e per i prestiti accordati a fronte di anticipi su crediti esistenti alla data del 29 febbraio 2020 o, se superiori, a quella di pubblicazione del presente decreto, gli importi accordati, sia per la parte utilizzata sia per quella non ancora utilizzata, non possono essere revocati in tutto o in parte fino al 30 settembre 2020”; • lett. b) “per i prestiti non rateali con scadenza contrattuale prima del 30 settembre 2020 i contratti sono prorogati, unitamente ai rispettivi elementi accessori e senza alcuna formalità, fino al 30 settembre 2020 alle medesime condizioni”; • lett. c) “per i mutui e gli altri finanziamenti a rimborso rateale, anche perfezionati tramite il rilascio di cambiali agrarie, il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre 2020 è sospeso sino al 30 settembre 2020 e il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione è dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti; è facoltà delle imprese richiedere di sospendere soltanto i rimborsi in conto capitale”. Gli intermediari dovranno tenere conto di queste previsioni ai fini delle segnalazioni alla Centrale dei rischi. In particolare, si precisa che nel caso di imprese beneficiarie della previsione di cui all’art. 56, co. 2, lett. a) e b) del citato decreto, nella segnalazione della relativa posizione debitoria si dovrà tener conto dell’impossibilità di revocare in tutto o in parte i finanziamenti in discorso o della proroga del contratto; gli intermediari pertanto non dovranno ridurre l’importo dell’accordato segnalato alla Centrale dei rischi. Nel caso di imprese beneficiarie della sospensione ex art. 56, co. 2, lett. c) del citato decreto, nella segnalazione della relativa posizione debitoria si dovrà tener conto della temporanea inesigibilità dei crediti in discorso, sia in quota capitale che in sorte interessi (ove prevista). Coerentemente, per l’intero periodo di efficacia della sospensione, dovrà essere interrotto il computo dei giorni di persistenza degli eventuali inadempimenti già in essere ai fini della valorizzazione della variabile “stato del rapporto”. Analoghi criteri segnaletici dovranno essere seguiti in relazione ad altre disposizioni del suddetto decreto, ad altre previsioni di legge, ad accordi o protocolli d’intesa che prevedano l’impossibilità di revocare finanziamenti o il beneficio della sospensione dei pagamenti relativi a finanziamenti oggetto di segnalazione alla Centrale dei rischi. In ogni caso, con riferimento alle disposizioni normative suindicate, il soggetto finanziato non potrà essere classificato a sofferenza dal momento in cui il beneficio è stato accordato.
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Le imposte Comunali, la Nuova IMU4/20/2020 Tra le sigle che il legislatore si è inventato nel corso degli anni spicca la IUC, ossia l'Imposta Comunale Unica. Il nome era decisamente sgradevole e non ne sentiremo la mancanza. Non è il caso, però, di gioire per la sua dipartita, posto che la predetta imposta è stata sostituita dalla Nuova IMU che non annovera tra i suoi elementi di novità alcun risparmio per i contribuenti. Andiamo con ordine. L’imposta unica comunale (IUC), introdotta - a decorrere dall’anno 2014 - dal comma 639 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013, si basava su due presupposti impositivi: 1- il possesso di immobili, collegato alla natura e al valore degli stessi 2- il rapporto tra l'immobile e l’erogazione e fruizione di servizi comunali. La IUC si componeva dell’imposta municipale propria (IMU), dovuta dal possessore di immobili, e di una componente riferita ai servizi, che si articola nel tributo per i servizi indivisibili (TASI), a carico sia del possessore che dell’utilizzatore dell'immobile, e nella tassa sui rifiuti (TARI), destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a carico dell’utilizzatore. La Legge di Bilancio ha abolito dal 1° gennaio 2020 la IUC (ad eccezione della TARI) sostituita dalla nuova imposta che unifica IMU e TASI. L’obiettivo è quello di semplificare l’insieme delle tasse sulla casa, che fino allo scorso anno erano divise in due diversi tributi dalle regole pressoché identiche. APPLICAZIONE È stata così introdotta La nuova IMU o Super Imu che si applicherà ai possessori di beni immobili. Non si applica alla prima casa, ossia all'immobile destinato ad abitazione principale o assimilata, salvo che tale immobile appartenga alle categorie catastali A/1, A/8, A/9, : cd beni immobili di lusso. Per possessori degli immobili si intendono:
CALCOLO L'imposta si paga ad anno, ossia calcolata dal 01.01 al 31.12 ed è rapportata alla quota di possesso ed ai mesi dell’anno durante i quali si è protratto il possesso. La base imponibile è costituita dal valore dell’immobile: si deve individuare la categoria catastale e la rendita. Quest'ultima va prima rivalutata del 5% e poi moltiplicata per coefficienti differenti a seconda della categoria catastale Per le aree fabbricabili, il valore è costituito da quello venale in comune commercio posseduto dall’area al 1° gennaio dell’anno di imposizione, contemperata da altri elementi quale la zona territoriale in cui si trova, l’indice di edificabilità, la destinazione d’uso consentita. Quanto ai terreni agricoli, anche non coltivati, il valore è costituito da quello ottenuto applicando al reddito dominicale rivalutato del 25% e moltiplicato per 135. LE ESENZIONI Sono confermate le esenzioni previste per la vecchia Imu (prima casa e terreni agricoli) con l’eccezione di quelle per:
SCADENZE Restano invariate le scadenze per il pagamento della nuova IMU:
DECORRENZA Le disposizioni della nuova IMU si applicano a decorrere dal 2020. DEDUCIBILITÀ Segnaliamo infine la deducibilità dell’Imu dal reddito d’impresa e di lavoro autonomo. L'IMU relativa agli immobili strumentali è deducibile al 100% a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2021 (anno solare 2022). La deduzione si applica nella misura del 60% per i periodi successivi a quelli in corso, rispettivamente al 31 dicembre 2019 (anno solare 2020) e 31 dicembre 2020 (anno solare 2021). Per quanto riguarda l'IMU in vigore fino al 31 dicembre 2019, per il periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018, la deduzione è pari al 50%. Non è invece deducibile ai fini Irap RAVVEDIMENTO OPEROSO Il Decreto Fiscale 2020 estende anche ai tributi locali le regole generali sul ravvedimento operoso. In caso di mancato o parziale versamento si può regolarizzare la propria posizione secondo le stesse tempistiche previste per la generalità di imposte e tributi, mentre in passato era limitato al primo anno Tale beneficio ha un termine di decadenza individuabile nell'invio al contribuente della cartella di pagamento a parte dell’ente locale. È possibile applicare l’ulteriore riduzione prevista nel caso di regolarizzazione entro 14 giorni dalla scadenza.
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Le Locazioni al tempo del COVID-194/17/2020 Quale sorte per le locazioni relative alle attività che, per effetto dei vari provvedimenti adottati dal Governo e dal Parlamento per arginare l’emergenza sanitaria in atto, hanno dovuto chiudere temporaneamente i battenti?
La questione è tanto urgente - alla luce della carenza di liquidità di moltissime imprese (si pensi alle attività di ristorazione, bar e attività commerciali in genere che, nonostante non possano essere aperte al pubblico, si trovano in ogni caso tenute, come da contratto, a corrispondere le somme dovute a titolo di canone di locazione) - quanto complessa dal punto di vista giuridico. Ovviamente l’emergenza “coronavirus” rende attuale una problematica, quelle dell’adempimento delle obbligazioni in caso di calamità naturali o eventi sociopolitici straordinari, che esiste dalla notte dei tempi; si pensi che nel codice di Hammurabi (1750 a.c. circa) era contenuta una norma del seguente tenore: Se qualcuno ha un debito per un prestito, e una tempesta danneggia i cereali, o il raccolto perisce, o i cereali non crescono per carenza di acqua; in quell'anno non ha bisogno di dare al creditore alcuna quantità di cereali, egli lava nell'acqua la tavola in cui è segnato il debito e non paga alcuna rendita per tale anno. Al momento possibili soluzioni formulate dalla dottrina per il problema di cui trattasi sono diverse. Analizziamole in dettaglio A) RECESSO DEL CONDUTTORE PER GRAVI MOTIVI L’art. 27 della L. 392/78 prevede che il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata ar E’ evidente che trattasi di una soluzione estrema, in quanto presuppone la cessazione dell'attività (che nella maggiora parte dei casi non è la soluzione auspicata dal conduttore) ed inoltre non immediata, posto che, nelle more del decorso dei sei mesi il canone dovrebbe rimanere quello contrattuale. B) IMPOSSIBILITA’ PARZIALE SOPRAVVENUTA La norma alla base di tale ipotesi è l’art. 1464 del codice civile il quale dispone: “Quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale”. Anche tale soluzione non apre la più confacente alla soluzione di un problema che, auspicabilmente, sarà di carattere temporaneo. Infatti ritenendo che la “… prestazione di una parte” (locatore) sia “divenuta solo parzialmente impossibile …”e ritenendo pertanto che l'obbligo del locatore di consegnare e mantenere il bene idoneo all’uso pattuito sia non adempiuta, si potrebbe ottenere la riduzione del prezzo ovvero il recesso. Ma ciò presupporrebbe che la prestazione (del locatore) sia divenuta definitivamente impossibile (anche se solo in parte); ciò che, allo stato attuale non appare probabile. C) ECCESSIVA ONEROSITA' SOPRAVVENUTA Si tratta di quanto previsto dall’art. 1467 cc. Che così dispone: Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall'articolo 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto In altri termini il conduttore potrebbe risolvere il contratto senza attendere il termine semestrale previsto dall’art. 27 della L. 392/78, salvo che il locatore, di fronte alla richiesta risoluzione, non “offra di modificare equamente le condizioni del contratto.” Come nella precedente ipotesi, anche in questo caso pare ostativa all’applicazione di detta norma, la mancanza di definitività della situazione di crisi che determina l'eccessiva onerosità. Da non trascurare, inoltre, che, come già detto per l’ipotesi sub A) l’applicazione di detta norma presuppone la cessazione dell'attività. D) IMPOSSIBILITA' PARZIALE SOPRAVVENUTA PER CAUSA NON IMPUTABILE Altra ipotesi è quella contemplata dall’art. 1258 cc.: Se la prestazione è divenuta impossibile solo in parte, il debitore si libera dall'obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile In tale ipotesi il debitore (conduttore) si libera dall'obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile. Tale ipotesi pare maggiormente confacente alle esigenze derivanti dall’attuale emergenza. Si pensi, ad esempio all’ipotesi in cui il soggetto titolare di un’attività commerciale che non possa aprire al pubblico, abbia, comunque nell’immobile tutte le proprie merci stoccate; in altri termini utilizzerebbe, quantomeno in parte l’immobile locato. Come nelle ipotesi sub B) e C) anche in questo caso pare avere carattere ostativo all’applicazione di detta norma, la mancanza di definitività della situazione di crisi che determina l’impossibilità parziale. E) IIMPOSSIBILITA' SOPRAVVENUTA TEMPORANEA PER CAUSA NON IMPUTABILE La norma di riferimento è, in questo caso, l'art. 1256 secondo comma cc. Il quale dispone quanto segue: L'obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l'impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell'adempimento. Tuttavia l'obbligazione si estingue se l'impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell'obbligazione o alla natura dell'oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla. Per le attività interessate dal c.d. lockdown di cui al Dpcm dell'11 marzo 2020, risulta applicabile l’istituto dell’impossibilità temporanea di adempiere alla propria obbligazione di cui al citato articolo 1256 comma secondo c.c. Ed invero il divieto di esercitare l'attività determina da un lato l’impossibilità per il conduttore di utilizzare l'immobile, quale prestazione dovuta dal locatore e dall’altro la mancanza degli incassi determina l'impossibilità di adempiere alla propria obbligazione di pagamento del canone per tutto il tempo per il quale durerà l'emergenza sanitaria. Da quanto sopra deriva che il conduttore “non è responsabile del ritardo nell'adempimento”. Di conseguenza l’obbligo di pagamento è posticipato alla fine dell’emergenza sanitaria ma non è escluso ( l’obbligo verrà, infatti, meno solo se l'impossibilità perdurasse e pertanto non vi sia più obbligo a corrispondere la prestazione del canone). Al momento di cessazione dell'impossibilità il conduttore sarà tenuto al pagamento dei canoni precedenti non corrisposti; F) Le recenti disposizioni di legge. Il D.L. 18/2020 con l’art 91 introduce una norma applicabile alla fattispecie esaminata. Analizziamola in dettaglio; il tenore della noma è il seguente: “Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto e' sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilita' del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti." In realtà il principio espresso dalla suddetta norma appare in linea con quanto già esaminato; in particolare sembra essere una mera ripetizione delle disposizioni dell'ordinamento richiamate dall’ art. 1218 c.c. e pertanto degli artt. 1256 c.c. (impossibilità definitiva o temporanea) e 1258 c.c. (impossibilità parziale) già analizzati. Ovviamente il principio di cui all’art 91 del DL 18/2020 è applicabile anche ad ogni “inadempimento o ritardato adempimento” che sia conseguenza delle limitazioni adottare per il contenimento dell'emergenza sanitaria. CONCLUSIONI Da quanto sopra esposto, ben consci che l’analisi che precede sconta la necessaria imprecisione dovuta alla straordinarietà della fattispecie in atto, pare pressoché impossibile rinvenire, nel nostro ordinamento, un diritto del conduttore ad un’automatica sospensione o riduzione del canone. Concordando con buona parte della dottrina finora espressasi sul punto riteniamo che la strada dell’accordo tra le parti sia quella che meglio potrà contemperare le esigenza di locatori e conduttori, accomunati entrambi dall’essere protagonisti di una situazione senza precedenti nel nostro Stato, quantomeno dal dopoguerra ad oggi. In ultimo è opportuno ricordare che il legislatore dell’emergenza è intervenuto, per la specifica materia della locazione, con l’art. 65 del D.L. 18/2020 che ha disposto: “ai soggetti esercenti attività di impresa è riconosciuto, per l’anno 2020, un credito di imposta nella misura del 60% dell’ammontare del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1”, dove, ricordiamo, la categoria C/1 comprende unicamente negozi e botteghe, con la conseguenza che il beneficio descritto è applicabile solo ai rapporti di locazione relativi a tale categoria di immobili.
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Il D.L. liquidità, 8 aprile 2020, n. 23 prevede una moratoria dei pagamenti fiscali e previdenziali.
Lo scopo del citato provvedimento d’urgenza è quello di far fronte alla crisi di liquidità delle piccole e medie imprese italiane, con provvedimenti di sostegno alle impresa e di contrasto all’emergenza da Covid 19 che perdura oramai da febbraio e che determinerà effetti importanti anche nei mesi a venire. In tale contesto i provvedimenti di carattere fiscale hanno una notevole importanza, posto che gli adempimenti fiscali sottraggono liquidità alle imprese. Tra l'affermazione di principio (sospensione dei pagamenti fiscali) e la sua realizzazione pratica rimangono, peraltro, alcune zone d’ombra non sempre di facile comprensione per il contribuente e spesso, purtroppo, nemmeno per gli addetti ai lavori. Al fine di sgombrare il campo da questi dubbi l'Agenzia delle Entrate ha emanato la Circolare n 9 del 13 aprile 2020 avente ad oggetto i chiarimenti sul Decreto Liquidità contenente “Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali” La circolare chiarisce che il Decreto Liquidità prevede una sospensione collegata ai ricavi e compensi conseguiti nel periodo di imposta precedente a quello di entrata in vigore del decreto e all’andamento del fatturato e dei corrispettivi di marzo e aprile 2020 rispetto ai mesi di marzo e aprile del periodo d’imposta precedente. Ne consegue che se vi è stata una riduzione del fatturato legata a precise percentuali, allora si potrà procedere alla sospensione di alcuni pagamenti . CRITERI DI CALCOLO
QUALI PAGAMENTI SONO SOSPESI? Se le condizioni di cui sopra sono soddisfatte, sono sospesi i versamenti relativi a:
Occorre, prestare attenzione sia alla data di effettuazione dell’operazione che, del documento di trasporto, almeno per le fatture differite, ai fini dell’imputazione dell’operazione ai mesi di marzo e aprile, A CHI SPETTANO LE SOSPENSIONI? Le sospensioni dei versamenti fiscali spettano:
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DECRETO LIQUIDITA’: VIA LIBERA DELLA UE ALLE RICHIESTE DI FINANZIAMENTO FINO A 25 MILA EURO4/15/2020 Come è noto, il decreto liquidità (D.L. n. 23/2020), prevede una serie di misure emergenziali la cui entrata in vigore, almeno per alcune delle predette disposizioni, attendeva l’adesione della Commissione Europea.
Tale autorizzazione, necessaria per le deroghe all’operatività del Fondo di Garanzia (L.62/1996), è pervenuta, ragion per cui non vi sono vi sono ulteriori ostacoli alla richiesta del finanziamento fino a € 25.000,00 previsto dal Decreto Liquidità. In particolare è stata autorizzata e confermata la garanzia al 100% da parte dello Stato, per i finanziamenti a favore di piccole e medie imprese, persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività sia stata danneggiata dall’emergenza COVID-19. Si tratta dei finanziamenti previsti dall’art 13 n° 1 lettera m) del D.L. 23/2020 . Il meccanismo disposto dal decreto, si riferisce a finanziamenti rispetto ai quali lo Stato, attraverso il Fondo di Garanzia (gestito da MCC) presterà la propria garanzia automaticamente. Che tipo di istruttoria devono espletare le Banche? L’istruttoria consisterà nella verifica formale inerente il possesso dei requisiti previsti dalla norma, in sintesi: * Requisiti dimensionali relativi al richiedente: ossia deve trattarsi di piccole o medie imprese; * Requisiti inerenti la tipologia di finanziamento: deve avere durata fino a 72 mesi, con inizio del rimborso del capitale non prima di 24 mesi e l’importo non deve essere superiore al 25% dei ricavi dell’ultimo anno fiscale. E’ necessaria la garanzia personale? Va ribadito che nelle ipotesi descritte non è richiesta alcuna garanzia personale. La compresenza delle condizioni illustrate permetterà alla banca di erogare il prestito garantito dallo Stato senza attendere il via libera del Fondo di Garanzia. Il descritto procedimento è stato ratificato e condiviso dall’ABI, che ha già comunicato alle proprie associate la possibilità di procedere e già inviato i documenti inerenti la delibera della Commissione. A tal fine è stato reso pubblico il necessario modello da utilizzare per inoltrare la richiesta, allegato al presente contributo e scaricabile dal seguente indirizzo https://www.fondidigaranzia.it/normativa-e-modulistica/modulistica/. Il modello dovrà essere compilato e potrà essere inviato anche via mail. Cosa si intende per PMI- Piccola e Media Impresa? L’unico aspetto nella compilazione che richiede attenzione è quello relativo alla definizione di “piccola media impresa” . Il significato dimensionale dell’espressione è contenuto nella scheda 2 del modulo che recita: che il soggetto beneficiario finale, sulla base dei dati riportati nella scheda 2, rispetta i parametri dimensionali previsti dalla Raccomandazione della Commissione Europea 2003/361/CE del 06/05/2003 pubblicata sulla G.U.U.E. n. L124 del 20/05/2003, nonché dal decreto del Ministero delle Attività Produttive del 18.4.2005 (consultabile sul sito www.fondidigaranzia.it) - Per comodità riportiamo la norma di riferimento Art. 2., Ministero delle Attività Produttive Decreto 18 aprile 2005 1. La categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (complessivamente definita PMI) è costituita da imprese che: a) hanno meno di 250 occupati, e b) hanno un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro, oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro. 2. Nell’ambito della categoria delle PMI, si definisce piccola impresa l’impresa che: a) ha meno di 50 occupati, e b) ha un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 10 milioni di euro. 3. Nell’ambito della categoria delle PMI, si definisce microimpresa l’impresa che: a) ha meno di 10 occupati, e b) ha un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro. 4. I due requisiti di cui alle lettere a) e b) dei commi 1, 2 e 3 sono cumulativi, nel senso che tutti e due devono sussistere. 5. Ai fini del presente decreto: a) per fatturato, corrispondente alla voce A.1 del conto economico redatto secondo le vigenti norme del codice civile, s’intende l’importo netto del volume d’affari che comprende gli importi provenienti dalla vendita di prodotti e dalla prestazione di servizi rientranti nelle attività ordinarie della società, diminuiti degli sconti concessi sulle vendite nonché dell’imposta sul valore aggiunto e delle altre imposte direttamente connesse con il volume d’affari; b) per totale di bilancio si intende il totale dell’attivo patrimoniale; c) per occupati si intendono i dipendenti dell’impresa a tempo determinato o indeterminato, iscritti nel libro matricola dell’impresa e legati all’impresa da forme contrattuali che prevedono il vincolo di dipendenza, fatta eccezione di quelli posti in cassa integrazione straordinaria. 6. Fatto salvo quanto previsto per le nuove imprese di cui al comma 7: a) il fatturato annuo ed il totale di bilancio sono quelli dell’ultimo esercizio contabile chiuso ed approvato precedentemente la data di sottoscrizione della domanda di agevolazione; per le imprese esonerate dalla tenuta della contabilità ordinaria e/o dalla redazione del bilancio le predette informazioni sono desunte, per quanto riguarda il fatturato dall’ultima dichiarazione dei redditi presentata e, per quanto riguarda l’attivo patrimoniale, sulla base del prospetto delle attività e delle passività redatto con i criteri di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1974 n. 689 ed in conformità agli articoli 2423 e seguenti del codice civile; b) il numero degli occupati corrisponde al numero di unità-lavorative-anno (ULA), cioè al numero medio mensile di dipendenti occupati a tempo pieno durante un anno, mentre quelli a tempo parziale e quelli stagionali rappresentano frazioni di ULA. Il periodo da prendere in considerazione è quello cui si riferiscono i dati di cui alla precedente lettera a). 7. Per le imprese per le quali alla data di sottoscrizione della domanda di agevolazione non è stato approvato il primo bilancio ovvero, nel caso di imprese esonerate dalla tenuta della contabilità ordinaria e/o dalla redazione del bilancio, non è stata presentata la prima dichiarazione dei redditi, sono considerati esclusivamente il numero degli occupati ed il totale dell’attivo patrimoniale risultanti alla stessa data.
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L’art 4 del Decreto Legge 23 del 2020, contenete ulteriori misure per la gestione della situazione di emergenza sanitaria causata dall’epidemia di Sars-cov2, ha previsto, per la sola sottoscrizione dei contratti bancari, una modalità semplificata.
Il testo dell’articolo è il seguente: “1. Ai fini degli articoli 117, 125-bis, 126-quinquies e 126-quinquiesdecies del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, ferme restando le previsioni sulle tecniche di conclusione dei contratti mediante strumenti informativi o telematici, i contratti, conclusi con la clientela al dettaglio come definita dalle disposizioni della Banca d'Italia in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore del presente decreto ed il termine dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020 soddisfano il requisito ed hanno l'efficacia di cui all'articolo 20, comma 1-bis, primo periodo, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, anche se il cliente esprime il proprio consenso mediante il proprio indirizzo di posta elettronica non certificata o con altro strumento idoneo, a condizione che questi siano accompagnati da copia di un documento di riconoscimento in corso di validità del contraente, facciano riferimento ad un contratto identificabile in modo certo e siano conservati insieme al contratto medesimo con modalità tali da garantirne la sicurezza, L’integrità e l’immodificabilità. Il requisito della consegna di copia del contratto è soddisfatto mediante la messa a disposizione del cliente di copia del testo del contratto su supporto durevole; l’intermediario consegna copia cartacea del contratto al cliente alla prima occasione utile successiva al termine dello stato di emergenza. Il cliente può usare il medesimo strumento impiegato per esprimere il consenso al contratto anche per esercitare il diritto di recesso previsto dalla legge.” Analizziamo in dettaglio il contenuto della norma. L’art 4 - che, come detto sopra, si riferisce unicamente alla sottoscrizione dei contratti bancari - stabilisce che i contratti conclusi attraverso modalità telematiche, hanno l’efficacia probatoria di cui all’art. 20, comma 1-bis, primo periodo, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’Amministrazione Digitale), anche se il cliente esprime il proprio consenso tramite email o altro strumento idoneo. Ricordiamo che il predetto art 20 del Codice dell’amministrazione digitale dispone che “Il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del Codice civile (1) quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'AgID ai sensi dell'articolo 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all'autore. In tutti gli altri casi, l'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità. La data e l'ora di formazione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle Linee guida.” In altri termini la firma elettronica semplice acquista, in virtù dell’articolo in commento, la medesima efficacia probatoria riconosciuta alla firma digitale e/o alla firma elettronica avanzata alle seguenti condizioni: - tra le parti contraenti vi sia una valida manifestazione di consenso; - venga allegato un documento di identità; - il contratto ed i documenti siano conservati con modalità tali da garantirne la sicurezza, l’integrità e l’immodificabilità. La suddetta norma, pertanto, costituisce un sicuro passo avanti nell’auspicabile cammino verso la digitalizzazione dei procedimenti aventi valore legale, ma presta il fianco ad alcune critiche. Ed invero, pur comprendendo l’esigenza sottesa alla normativa (ossia quella di permettere ai soggetti che intendono accedere alla liquidità bancaria garantita dallo Stato di farlo in totale sicurezza e mantenendo il distanziamento sociale) non possiamo fare a meno di rilevare il rischio connesso alla trasmissione con modalità digitale a mezzo email dei documenti d’identità ed alla conseguente possibilità di furto d’identità digitale. In ogni caso la norma in esame non è l’unica ad avere previsto una procedura digitale “semplificata”. In materia fiscale, infatti, l’art 25 del DL 23/2020 prevede la possibilità di inviare in via telematica ai CAF e ai professionisti abilitati la copia per immagine della delega all'accesso alla dichiarazione precompilata sottoscritta e la copia della documentazione necessaria, unitamente alla copia del documento di identità. In caso di necessita', in luogo della sottoscrizione della delega, il contribuente può inviare al CAF o al professionista abilitato, in via telematica, copia per immagine di un'apposita autorizzazione predisposta in forma libera e sottoscritta. Infine, nell’ambito della conversione del DL 18/2020 è stato inserito un emendamento che prevede che, nei procedimenti civili, la sottoscrizione della procura alle liti possa essere apposta su un documento cartaceo scannerizzato, trasmesso al difensore anche con la posta elettronica, insieme alla scansione di un documento di identità, con la necessità, per il legale, di firmare digitalmente la copia informatica della procura. (1) Art 2702. Efficacia della scrittura privata La scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa e' legalmente considerata come riconosciuta.
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Nel campo fiscale il decreto 08 aprile 2020 n° 23 contiene una serie di disposizioni dirette ad alleggerire il carico fiscale delle aziende, anche nell’ottica di un rinvio delle scadenze.
Prima di procedere all'analisi delle nuove disposizioni, avvertiamo che le stesse vanno lette in coordinamento che le disposizioni fiscali contenute nei precedenti decreti ed alle quali si fa riferimento. Nello specifico il decreto 08 aprile dedica il capo IV agli aspetti fiscali. Quali sono le scadenze che vengono sospese? L'articolo 18 permette a coloro i quali, avendo il domicilio fiscale in Italia ed hanno avuto una diminuzione del fatturato o dei corrispettivi almeno del 33% nel mese di marzo 2020, di sospendere le ritenute alla fonte di cui agli articoli 23 e 24 del DPR 600 / 73. Sono, altresì, sospesi i termini di versamento per l'IVA. Il riferimento temporale è alle scadenze di aprile e maggio 2020. Analoga proroga è prevista per quanto riguarda versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e per i premi per l'assicurazione obbligatoria. A chi si applica la sospensione? La sospensione di cui sopra è prevista anche per coloro i quali esercitano l'attività di impresa arte o professione, purchè aventi il domicilio fiscale o la sede legale o operativa nel territorio italiano . La norma si applica, per espressa previsione anche agli enti non commerciali e agli enti del cd terzo settore. Il successivo versamento sarà esente da sanzioni Altre norme L'articolo 19 si occupa specificamente delle ritenute su redditi lavoro autonomo e sulle provvigioni inerenti una serie di rapporti ed in particolare i rapporti di commissione, di agenzia, di mediazione, rappresentanza di commercio e procacciamento d'affari. L'articolo 22 permette la proroga al 30 Aprile per l'invio della documentazione relativa alla certificazione unica. Dal punto di vista operativo, l’articolo 25, in considerazione delle difficoltà derivanti dalla limitazione degli spostamenti, permette di inviare la documentazione inerente all'assistenza fiscale mediante mezzi telematici. In tal modo il contribuente potrà inviare apposta delega tramite mezzo elettronico, previa sottoscrizione personale della delega a medesima. Analoga possibilità sia per quanto riguarda l’accesso o la fruizione di prestazioni INPS Sempre nell'ottica della limitazione degli spostamenti, l'articolo 29 prevede che qualora un determinato procedimento Tributario sia iniziato con modalità analogica, lo stesso debba essere proseguito in modalità digitale. Tale norma è importante perché le precedenti direttive escludevano una tale possibilità. L'articolo 30 riconosce un credito d'imposta per l'acquisto dei materiali e beni diretti a garantire la sicurezza sui posti di lavoro. Infine l'articolo 35 permette il rilascio del PIN dell’INPS in via semplificata rispetto alle procedure standard attraverso o apposita procedura telematica dell'ente previdenziale.
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L’art 11 del D.L. 8 /4/2020, n. 23, dispone la sospensione dei termini di scadenza relativi a vaglia cambiari, cambiali e altri titoli di credito emessi entro il 9 aprile 2020.
La sospensione riguarda i suddetti titoli in scadenza per il periodo dal 9 marzo 2020 al 30 aprile 2020, La sospensione opera sia per il debitore principale che per i debitori e obbligati anche in via di regresso o di garanzia i quali, però, possono rinunziarvi. La sospensione è prevista anche per “ogni altro atto avente efficacia esecutiva”. Ad una prima interpretazione sembrerebbe che la norma debba intendersi estesa a tutti i titoli esecutivi, compresi quelli di formazione giudiziale. Resta però una perplessità. Perché una siffatta norma (che sospende la scadenza per l’adempimento di Sentenza, Decreti Ingiuntivi e altri titoli giudiziali) non viene neppure riportata nella rubrica dell’articolo (che testualmente recita: “Sospensione dei termini di scadenza dei titoli di credito”)? Un’altra interpretazione - probabilmente più fondata - potrebbe, quindi, condurre alla conclusione che il legislatore sia sia riferito ad ogni atto cui “la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia” dei titoli di credito (così testualmente il citato art. 474, comma 2, n. 3, c.p.c.) o, eventualmente, anche alle “scritture autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute” di cui all’art. 474, comma 2, n. 3, c.p.c. D’altro canto, la prima e più ampia interpretazione non coincide con quanto previsto dal secondo comma del già citato art 11 che prevede che l’assegno può essere sempre presentato al pagamento. La sospensione in tal caso riguarda solamente i termini per la presentazione, quelli per la levata del protesto e quelli per la revoca delle autorizzazioni in caso di mancato pagamento e a quelli per il pagamento tardivo; in altri termini i protesti levati dal 9 marzo 2020 fino al 9 aprile 2020 non sono trasmessi alle Camere di Commercio e, qualora siano stati già pubblicati, vengono cancellati d’ufficio. In attesa che la questione venga chiarita (e la conversione del D.L. potrebbe essere la sede adatta) pare opportuno orientarsi verso la seconda e più restrittiva interpretazione. L’art 11 del D.L. 8 /4/2020, n. 23, dispone la sospensione dei termini di scadenza relativi a vaglia cambiari, cambiali e altri titoli di credito emessi entro il 9 aprile 2020. La sospensione riguarda i suddetti titoli in scadenza per il periodo dal 9 marzo 2020 al 30 aprile 2020, La sospensione opera sia per il debitore principale che per i debitori e obbligati anche in via di regresso o di garanzia i quali, però, possono rinunziarvi. La sospensione è prevista anche per “ogni altro atto avente efficacia esecutiva”. Ad una prima interpretazione sembrerebbe che la norma debba intendersi estesa a tutti i titoli esecutivi, compresi quelli di formazione giudiziale. Resta però una perplessità. Perché una siffatta norma (che sospende la scadenza per l’adempimento di Sentenza, Decreti Ingiuntivi e altri titoli giudiziali) non viene neppure riportata nella rubrica dell’articolo (che testualmente recita: “Sospensione dei termini di scadenza dei titoli di credito”)? Un’altra interpretazione - probabilmente più fondata - potrebbe, quindi, condurre alla conclusione che il legislatore sia sia riferito ad ogni atto cui “la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia” dei titoli di credito (così testualmente il citato art. 474, comma 2, n. 3, c.p.c.) o, eventualmente, anche alle “scritture autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute” di cui all’art. 474, comma 2, n. 3, c.p.c. D’altro canto, la prima e più ampia interpretazione non coincide con quanto previsto dal secondo comma del già citato art 11 che prevede che l’assegno può essere sempre presentato al pagamento. La sospensione in tal caso riguarda solamente i termini per la presentazione, quelli per la levata del protesto e quelli per la revoca delle autorizzazioni in caso di mancato pagamento e a quelli per il pagamento tardivo; in altri termini i protesti levati dal 9 marzo 2020 fino al 9 aprile 2020 non sono trasmessi alle Camere di Commercio e, qualora siano stati già pubblicati, vengono cancellati d’ufficio. In attesa che la questione venga chiarita (e la conversione del D.L. potrebbe essere la sede adatta) pare opportuno orientarsi verso la seconda e più restrittiva interpretazione.
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Cambiano le modalità di assistenza tecnica per i Giudizi davanti alle Commissioni Tributarie.
Il consiglio è sempre quello di affidarsi a professionisti di comprovata esperienza per giudizi, caratterizzati da una elevata specializzazione , come quelli tributari. Vediamo ora le novità . La Circolare n. 2/DF del 31 marzo 2020 del MEF ( il Dipartimento delle Finanze), ha previsto nuovi requisiti per l’assistenza tecnica dinanzi alle Commissioni Tributarie. Con decorrenza dal 1 Aprile 2020 ( o almeno quando verrà meno la sospensione dei Giudizi Tributari causa emergenza Coronavirus) , potranno stare in giudizio taluni soggetti che, non essendo iscritti in un Albo professionale, necessitano di un’apposita abilitazione ministeriale per poter esercitare la difesa innanzi alle Commissioni Tributarie. In particolare la circolare parla di: *soggetti iscritti nell’elenco di quelli abilitati dal MEF( ai sensi dell’art. 63, terzo comma, del D.P.R. 600/1973; art. 12, comma 3, lett. d). del D.lgs. 546/1992) tra cui i dipendenti civili e militari dell’Amministrazione Finanziaria e degli enti impositori, cessati dall’impiego da almeno due anni, dopo almeno venti anni di effettivo servizio di cui almeno gli ultimi dieci prestati a svolgere attività connesse ai tributi; * soggetti iscritti in elenchi gestiti dal MEF (art. 12, comma 3, lettere e) f) g) h) del D.lgs. 546/1992), tra cui vi rientrano gli esperti tributari, i funzionari delle associazioni di categoria, i dipendenti delle associazioni di categoria e di imprese, i dipendenti dei C.A.F. con requisiti meglio specificati nella Circolare; *soggetti iscritti negli elenchi in vigore fino al 31 marzo 2020 i quali confluiscono nelle prime quattro sezioni del nuovo elenco nazionale tenuto dalla direzione della giustizia tributaria del dipartimento delle finanze. Ai fini di cui sopra il Ministero dell’Economia e delle finanze ha disciplinato, mediante il D.M. 106/2019 ( i cui effetti decorrono dal primo aprile ), le modalità di rilascio dell'abilitazione all'assistenza tecnica innanzi alle Commissioni tributarie e della tenuta dell'elenco dei soggetti abilitati. Gli interessati, se dotati dei requisiti di cui sopra , possono essere abilitati all’assistenza tecnica dinnanzi alle Commissioni tributarie mediante la presentazione dell'apposita domanda , esclusivamente per via telematica al seguente indirizzo PEC: istanze.registrodifensoricctt@pce.finanze.it . E’ necessario seguire i modelli resi disponibile sul Portale delle Giustizia Tributaria. Non cambia invece il limite del valore della causa entro cui è ammessa la difesa personale della parte ed in cui, pertanto, non è necessaria l’assistenza tecnica di un professionista abilito. Tale limite è pari a €. 3.000,00. Cogliamo l'occasione per ricordare che le categorie abilitate all’assistenza tecnica, in virtù del proprio titolo abilitativo generale (derivante dall’iscrizione al relativo Albo), non hanno necessità di conseguire un’autorizzazione amministrativa. Trattasi di: *Avvocati; *Dottori commercialisti iscritti alla sezione A del relativo albo; *Consulenti del lavoro, che sono abilitati alla difesa in tutte le controversie tributarie, a prescindere dalla materia del contenzioso attivato; *Ingegneri, Architetti, Geometri, Periti industriali, Dottori agronomi e forestali, Agrotecnici, Periti agrari, Spedizionieri doganali iscritti all’albo di pertinenza; *soggetti che, in possesso di speciali requisiti di professionalità e lavorativi, risultano iscritti in appositi elenchi.
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Il Decreto Liquidità ha per le imprese e i professionisti la garanzia Statale che permetterà alle Aziende di credito, di finanziare fino a 25 mila euro, senza effettuare la consueta istruttoria bancaria.
In altri termini è previsto che le procedure per accedere al Fondo centrale di garanzia messo a disposizione per le piccole e medie imprese siano standardizzate e semplificate per ridurre i tempi di erogazione della liquidità che dovrà permettere a PMI e professionisti di uscire da questa fase di emergenza sanitaria Covid-19. Le misure straordinarie si applicheranno fino al 31 dicembre 2020. Come funziona la garanzia pubblica? Finanziamenti entro il limite di € 25.000,00 Lo Stato italiano, utilizzando il Fondo di garanzia per le PMI mediante procedure standard, affianca le imprese che, in carenza di liquidità a causa dell’emergenza sanitaria, hanno nel contempo difficoltà ad accedere al credito bancario tramite i canali ordinari. In altri termini la garanzia pubblica, sostituisce le gravose garanzie che di norma sono indispensabili per l’ottenimento di una linea di credito (fideiussioni dei soci, garanzie reali o fideiussioni assicurative). Inoltre l’abolizione della fase istruttoria (del c.d. “merito creditizio”), consentirà per le PMI di ridurre notevolmente i tempi d’attesa tra la richiesta e l’erogazione delle somme. Infatti, di norma ogni impresa che si rivolge al sistema creditizio per ottenete un finanziamento di qualunque genere è sottoposta ad una rigorosa analisi creditizia che serve all’Istituto erogante a valutare la capacità di rimborso. La congiuntura economica - anche ante Covid-19 - non era delle migliori, fatto quest’ultimo che aveva reso nell’ultimo periodo oltremodo difficile l’accesso al credito per le PMI italiane che spesso non avevano i requisiti per accedervi. Le garanzie statali ai prestiti bancari delle aziende attribuisce agli istituti di credito la possibilità di erogare alle PMI, la liquidità necessaria bypassando le procedure previste dai parametri BCE, usando una procedura snella e senza le consuete garanzie. Come detto, la richiesta di credito fino a 25.000 euro prevede che le somme siamo erogate senza valutazione di merito creditizio; in altri termini le imprese che chiederanno importi fino a 25 mila euro non dovranno rispondere ai requisiti che di norma erano richiesti in fase di istruttoria del credito istruttoria; ciò in quanto esiste la garanzia gratuita da parte dello Stato. Si precisa che l’agevolazione riguarda i finanziamenti di importo massimo di 25.000,00 euro e comunque non superiori al 25% dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario, come risultante dall’ultimo bilancio depositato o dell’ultima dichiarazione presentata alla data della domanda della garanzia Il rimborso del capitale non decorre prima di 18-24 mesi dall’erogazione del prestito e potrà avere una durata dai 24 ai 72 mesi. Lo scaglione oltre 25 mila euro e fino a 800 mila euro. In questo caso è previsto un limite massimo del 15% dei ricavi del soggetto beneficiario, come risultante dall’ultimo bilancio depositato o dell’ultima dichiarazione presentata alla data della domanda della garanzia In questa ipotesi la garanzia pubblica prevista è sempre del 100 %, ma per ottenere le somme richieste nel predetto scaglione è necessario attendere la valutazione del merito del credito. Da 800.000,00 fino 5 milioni Anche in questo caso è previsto un intervento statale ma, alla luce delle somme in gioco, la la procedura è più complessa. In primo luogo è prevista la garanzia dello Stato per il 90 %. Più precisamente il predetto decreto Liquidità prevede che “l’importo massimo garantito per singola impresa è elevato, nel rispetto della disciplina dell’Unione europea, a 5 milioni di euro. Sono ammesse alla garanzia le imprese con numero di dipendenti non superiore a 499”. Riepilogando. 1) per i soggetti che richiedono fino a 25.000,00 euro, la garanzia prevista è del 100 %, senza valutazione del merito del credito; 2) soggetti che chiedono da 25.000,00 euro fino a 800.000,00 mila euro la garanzia prevista è del 100 %, ma sarà necessario attendere la valutazione del merito del credito; 3) soggetti che chiedono da 800.000,00 fino a 5 milioni la garanzia prevista è del 90 %. Quali sono i destinatari degli interventi? Le piccole e medie imprese ed i professionisti la cui attività è drasticamente ridotta a causa dell’emergenza sanitaria. E’ possibile effettuare la richiesta anche da parte delle imprese che, dopo il 31 dicembre 2019,
Fino a quando si posso richiedere le misura? Le misure straordinarie si applicheranno fino al 31 dicembre 2020.
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Da alcuni anni a questa parte e più precisamente dal momento in cui la Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, con l’Ordinanza 12 dicembre 2017, n. 29810 ha sancito il seguente principio di diritto: “in tema di accertamento dell'esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, la stipulazione "a valle" di contratti o negozi che costituiscano l'applicazione di quelle intese illecite concluse "a monte" (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all'accertamento dell'intesa da parte dell'Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (nella specie, per quello bancario, la Banca d'Italia, con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi della L. n. 287 del 1990, artt. 14 e 20, (in vigore fino al trasferimento dei poteri all'AGCM, con la L. n. 262 del 2005, a far data dal 12 gennaio 2016)) a condizione che quell'intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza” è ampiamente dibattuto il tema della nullità delle fideiussioni redatte secondo lo schema ABI. A partire da quella data numerose altre Sentenze, sia di legittimità che di merito, hanno ribadito il suddetto principio di diritto e statuito la nullità dei contratti di fideiussione redatti su moduli conformi allo schema ABI. Tra gli ultimi arresti in tal senso citiamo Cass. civ. Sez. I, Sent., 22-05-2019, n. 13846 che ha ribadito il principio già affermato da Cass. 29810/2017 in base al quale le fideiussioni prestate a garanzia delle operazioni bancarie redatte su modulo uniforme ABI sono radicalmente nulle per violazione del divieto di intese anticoncorrenziali previsto dall'art. 2, comma 2, lett. a), della L. n 287/1990. Il citato art. 2 della L. 287/1990 vieta, infatti, le intese tra imprese che abbiano l’oggetto o l’effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale, anche fissando direttamente o indirettamente prezzi di acquisto o di vendita o altre condizioni contrattuali. Non è superfluo ricordare come, a monte delle Sentenze sopra richiamate, in applicazione della predetta normativa, la Banca d'Italia avesse avviato nei confronti dell’ABI, relativamente alle condizioni generali della fideiussione contratta a garanzia delle operazioni bancarie, una istruttoria dalla quale era emerso che gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale tipo predisposto dall'ABI “contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto” con la citata normativa. Il caso concreto che venne a suo tempo esaminato da Cass. 29810/2017 riguardava un fideiussore che si era opposto ad un Decreto Ingiuntivo emesso nei suoi confronti assumendo che il contratto di fideiussione omnibus da lui sottoscritto fosse nullo in quanto le clausole ivi contenute erano identiche allo schema contrattuale tipo predisposto dall’ABI e come tali contrastanti con il provvedimento della Banca d’Italia, del 2 maggio 2005, che ne vietava l'applicazione per violazione della L. n. 287 del 1990. La Suprema Corte ha evidenziato che ciò che assume rilievo, ai fini della predicata inefficacia delle clausole del contratto di fideiussione di cui agli artt. 2, 6 e 8, è, all’evidenza, il fatto che esse “costituiscano lo sbocco dell'intesa vietata...”, cioè che “attraverso dette disposizioni si siano attuati gli effetti di quella condotta illecita..”. Ciò che andava accertata, pertanto, non era la diffusione di un modulo ABI da cui non fossero state espunte le nominate clausole, quanto la coincidenza delle convenute condizioni contrattuali col testo di uno schema contrattuale ritenuto coincidente con lo schema delineato dall’intesa restrittiva vietata. E’ evidente, infatti, che l’illecito concorrenziale poteva configurarsi anche nel caso in cui l’ABI non avesse contravvenuto a quanto disposto dalla Banca d'Italia nel provvedimento del 2 maggio 2005, ma la Banca parte in causa avesse egualmente sottoposto all’odierno ricorrente un modulo negoziale includente le disposizioni che costituivano comunque oggetto dell’intesa di cui alla L. n. 287 del 1990, art. 2, lett. a)”. In altre parole, Cass. 29810/2017 statuisce che, indipendentemente dal comportamento dell’ABI, quello che rileva è se l’Istituto di credito abbia sottoposto al ricorrente una fideiussione contenente quelle clausole che sono ritenute in contrasto con l’art. 2, comma, 2, lettera a), della legge n. 287/90. Pertanto il Giudice di merito è tenuto essenzialmente “a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidono con le condizioni oggetto dell'intesa restrittiva”, cioè se coincidono con quelle, individuate dalla Banca d'Italia, che violano la legge L. n. 287 del 1990, ciò indipendentemente dal fatto che l’ABI abbia provveduto o meno a diffondere il testo delle condizioni generali del contratto di fideiussione comprensivo delle clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario. Un ulteriore passo avanti nell’interpretazione della vicenda in esame è senz’altro costituito dalla ciò richiamata Sentenza della Corte di Cassazione del 22.05.2019 n. 13846. Nella sopra richiamata pronuncia si chiarisce, infatti, che per fare sì che l’azione realizzata dall’Azienda di credito debba considerarsi vietata, si deve accertare “non la diffusione di un modulo abi da cui non fossero state espunte le nominate clausole, quanto la coincidenza delle convenute condizioni contrattuali, col testo di uno schema contrattuale che potesse ritenersi espressivo della vietata intesa restrittiva: giacché, come è chiaro, l’illecito concorrenziale poteva configurarsi anche nel caso in cui l’abi non avesse contravvenuto a quanto disposto dalla banca d’italia nel provvedimento n. 55/2005, ma la banca (…) avesse egualmente sottoposto all’odierno ricorrente un modulo negoziale includente disposizioni che costituivano comunque oggetto dell’intesa di cui alla l. 287 del 1990, art. 2, lett. A)”. Da ciò deriva, secondo l’interpretazione sopra richiamata, l’automatica nullità dei contratti fideiussori redatti secondo il modello ABI, senza necessità che il Giudice di merito debba provvedere ad una valutazione in ordine all’illegittimità delle clausole fideiussorie, in quanto la valutazione di tale illegittimità è stata fatta a suo tempo dalla Banca d’Italia con il provvedimento n. 55 del 02.05.2005. Quali sono le conseguenze della declaratoria di nullità? Una delle conseguenze più evidenti della declaratoria di nullità dei contratti di fideiussione è senz’altro la decadenza del diritto ad agire contro il fideiussore. Di norma, infatti, i contratti di fideiussione comportavano una diluizione a dismisura dei termini per l’escussione del garante nonché di estensione della garanzia anche agli obblighi di restituzione derivanti dall'invalidità del rapporto principale, chiaramente ulteriori e diversi rispetto agli obblighi garantiti al momento della stipulazione. In ordine alla decadenza del diritto ad agire contro il fideiussore ricordiamo che l’art. 1957 c.c. dispone che il fideiussore rimanga obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore abbia proposto le sue istanze contro il debitore entro sei mesi e le abbia continuate con diligenza. Il creditore che non attiva tempestivamente gli strumenti di recupero del proprio credito nei confronti del debitore principale decade pertanto dal diritto di pretendere l’adempimento dal fideiussore. Nel caso in cui il debito sia ripartito in scadenze periodiche, ciascuna delle quali dotata di un grado di autonomia tale da potersi considerare esigibile prima ed a prescindere dalla prestazione complessiva, il “dies a quo”, per calcolare il termine decadenziale previsto dall’art. 1957 cod. civ., va individuato in quello di scadenza delle singole prestazioni e non già dell’intero rapporto (Cass. n. 15902/2014). Il termine di decadenza previsto all’art. 1957 c.c. si applica a prescindere da qualsivoglia stato soggettivo del creditore, che esso porti a giustificazione della sua inerzia nell’azione contro il debitore principale; ciò che rileva è il solo oggettivo decorso del termine, senza che il creditore abbia iniziato una azione giudiziale di recupero contro il debitore principale e l’abbia altresì diligentemente continuata. Da quanto sopra esposto è evidente che, in ogni ipotesi in cui l’Azienda di credito abbia (come accade più frequentemente di quanto si pensi) iniziato l’azione giudiziaria nei confronti del debitore principale dopo molto tempo (talvolta passano anni tra la decadenza del beneficio del termine e l’inizio delle azioni volte al recupero) il fideiussore avrà la possibilità di eccepire la nullità della clausola di deroga all’art 1967 c.c.. La predetta difesa è spesso particolarmente efficace nei giudizi di opposizione a Decreto Ingiuntivo ed ha spesso comportato la sospensione del provvedimento monitorio emesso nei confronti del fideiussore.
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Il contributo redatto in ordine alle cautele che il datore di lavoro deve predisporre al fine di mettere in sicurezza il lavoratore nello svolgimento della propria attività, si concludeva attraverso il rimando all'analisi della responsabilità civile e penale del datore di lavoro.
L'argomento, proprio nell'ambito della situazione venutasi a creare negli ospedali, risulta di particolare attualità. Medici e personale sanitario, infatti rischiano in prima persona di incorrere nel contagio. Tale evenienza è a tutti gli effetti da considerare quale infortunio sul lavoro. In particolare l’articolo 42 del DECRETO-LEGGE 17 marzo 2020, n. 18 che stabilisce come nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) sul luogo di lavoro il medico è tenuto a redigere il certificato di infortunio che viene trasmesso all’INAIL che provvederà alla tutela del lavoratore. Ciò non toglie che sia necessario fornire un quadro di quelli che sono gli strumenti che il lavoratore ha a disposizione per tutelare se stesso. 1. La Responsabilità civile del datore di lavoro Le norme di riferimento sono essenzialmente due . L'art. 2087 del Codice Civile : L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro . La sopra indicata norma fa riferimento all’imprenditore ma sarebbe più corretto fare riferimento al datore di lavoro , posto che non è dubitabile l’ applicabilità di tale disposizione anche alla Pubblica Amministrazione ( tra le altre Cassazione Civile, Sez. Lav., 04 gennaio 2018, n. 93); essa obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le misure atte a tutelare il lavoratore sia dal punto di vista della sua integrità fisica che per ciò che attiene alla personalità morale. E' una norma a contenuto aperto: ciò significa che le misure saranno diverse in relazione alla particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, il settore di riferimento ecc. Per fare un esempio le misure di sicurezza da adottare nell'ambito della sicurezza negli ospedali sono diverse da quelle da adottare negli altri uffici pubblici. Altra disposizione da esaminare riguardo il codice civile è l’articolo 2049 c.c.: I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti Questa norma significa che il datore di lavoro è responsabile anche per l’omissione, riguardante la sicurezza sul lavoro, causata da una persona da lui incaricata nell’ambito delle mansioni a lui conferite. Più semplicemente: il datore di lavoro risponde anche dei danni causati dalla violazione delle misure di sicurezza compiute dai suoi preposti o sorveglianti. Come va qualificata tale responsabilità dal punto di vista giuridico ? La tesi prevalente ritiene che si tratti di una responsabilità oggettiva, come anche stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. 6 marzo 2008 n. 6033; Cass. 12 marzo 2008 n. 6632) . Ne consegue che, pur nelle ipotesi in cui vi sia una delega di funzioni a soggetti diversi rispetto a quelli individuati dalle norme istitutive dell’ente quali responsabili, nondimeno sussisterà la responsabilità della Pa per il danno subito dal lavoratore . Nello specifico, in merito alla posizione dei soggetti esercenti attività sanitaria, la ripartizione in sedi locali dalle Ats e le eventuale ulteriore delega di funzioni all’interno delle stesse, non esime da responsabilità e non costituisce ostacolo alla tutela dei diritti del lavoratore. Le basi teoriche enunciate permettono di apprezzare le conseguenze della violazione dei doveri di sicurezza. Infatti, il riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro comporta l’obbligo di risarcire i danni causati al lavoratore a seguito del fatto lesivo verificatosi, il quale, pertanto, ha diritto ad essere interamente indennizzato dei danni subiti a causa del lavoro. Nel caso in cui la responsabilità ricada direttamente sul datore di lavoro, deve essere quest'ultimo a risarcirlo direttamente: trattasi del noto danno differenziale . Il danno differenziale è il danno che va risarcito al lavoratore in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale e che corrisponde alla differenza tra il danno risarcibile in sede civilistica e l'importo già corrisposto dall'Inail. Un discorso a parte va fatto per quel che riguarda l’assicurazione obbligatoria INAIL ed i suoi riflessi sulla responsabilità civile del Datore di Lavoro. Ai sensi dell’art. 10 del Testo Unico 1965 n.1124: la “responsabilità civile del DL per gli infortuni sul lavoro è esonerata, cioè esclusa, dalla assicurazione obbligatoria prevista dal citato TU, ovvero dalla assicurazione INAIL”. Quindi il Datore di Lavoro non risponde direttamente dei fatti che hanno determinato l’infortunio, salva l’ipotesi un cui la violazione delle norme sulla sicurezza sostanzi anche una responsabilità penale accertata con condanna . In sintesi, la responsabilità civile del Datore di lavoro permane, nonostante la suddetta assicurazione, quando abbia subito una condanna penale per il fatto derivato dall’infortunio. 2. RESPONSABILITÀ PENALE DEL DATORE DI LAVORO Come detto , la violazione delle norme in materia di sicurezza può determinare conseguenze penali in capo al datore di lavoro e/o ai preposti ( vedi quanto detto in ordine all’art 2049 CC) . Anche in questo caso non vi sono differenze tra datore di lavoro privato o pubblico. Secondo l'unanime insegnamento giurisprudenziale (tra le tante Cass Civ. n. 44327 del 30/9/2016) sul datore di lavoro grava una posizione di garanzia per i danni cagionati ai prestatori in conseguenza alla violazione delle norme sulla sicurezza sul di lavoro. Cosa significa posizione di garanzia ? Significa che nel caso di specie il datore di lavoro ha un particolare obbligo di protezione nei confronti del lavoratore . Quest'obbligo trova la sua principale fonte nell'art. 2087 c.c. che “impone al datore di lavoro un obbligo generico di disposizione di tutte le misure necessarie per prevenire eventuali rischi, anche se non esplicitamente richiamate da norme particolari che prevedono reati autonomi”. Detta norma va poi letta in combinato disposto con l'art art 40 del codice penale : .....”Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Pertanto, nel caso in cui il datore di lavoro: a) non impedisca il verificarsi dell’evento lesivo per il lavoratore b) detto evento sia conseguenza della violazione di norme sulla sicurezza, sorge, la responsabilità Penale del datore di lavoro che giustifica l’azione di regresso dell’INAIL nei confronti del predetto . È chiaro che queste disposizioni non possano essere lette nel senso che il datore di lavoro debba creare un ambiente di lavorativo a rischio zero. Significa, invece, che lo stesso datore deve comunque adottare tutte le misure che “nel caso concreto” e alla “specifica lavorazione” risultino idonee. Ad esempio negli ospedali dovranno essere predisposte delle misure di sicurezza diverse a seconda dei reparti e del rischio che ciascuno è chiamato ad affrontare. A ciò corrisponderà una serie di dotazioni diverse, sempre correlate al tipo di attività svolta. Questo comporta , come evidenziato dalla giurisprudenza “l'obbligo non solo di disporre tutte le misure antinfortunistiche, ma anche quello di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte di eventuale preposti e dei lavoratori, perché garante dell'incolumità fisica di questi ultimi, obbligo che non viene meno neppure con la nomina del responsabile di servizio di prevenzione e protezione, che ha funzione diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro”. I principi sopra enunciati restano fermi anche nell’ipotesi in cui alla causazione dell'incidente possa aver contribuito, nonostante i presidi comunque posti in essere dall'azienda, la colpa concorrente del lavoratore almeno in minima parte. Infatti, il comportamento del lavoratore può rilevare quale limite alla responsabilità del datore di lavoro solo quando risulti abnorme, eccezionale o comunque esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive ricevute. Peraltro, la Suprema Corte (cfr. Cass., sez. IV, 26 gennaio 2011, n. 2606) aveva già affermato come nel campo della sicurezza del lavoro il nesso di causalità può essere escluso solo nell'ipotesi di comportamento “abnorme” del lavoratore. Per abnormità deve intendersi “il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro”. Inoltre quella stessa pronuncia afferma come “l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizione in materia infortunistica”. Chiarito il quadro generale occorre dar conto di altre norme contemplate dal codice penale che possono riguardare la condotta del datore di lavoro in ambito sanitario. L’art. 437 del Codice Penale -Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro- :chiunque ometta di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, li rimuova o li danneggi, è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni. Un’ulteriore aggravante è costituita dal fatto che derivi un disastro o un infortunio, con applicazione della pena della reclusione da 3 a 10 anni. L’elemento soggettivo è costituito dal dolo dalla colpa del soggetto L'articolo 451 del Codice Penale -Omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro) disciplina la responsabilità del datore di lavoro. Esso prevede la reclusione fino a un anno o una multa (da 103 euro a 516 euro) per chi, per colpa, ometta di collocare, rimuova o renda inservibili gli apparecchi o gli altri mezzi destinati all'estinzione di un incendio, al salvataggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro.
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1. La natura e la funzione del TAEG.
Il Tasso annuo effettivo globale (TAEG) è l’indicatore di tasso di interesse di ogni operazione di finanziamento ed è stato introdotto dalla direttiva europea 90/88/CEE. La successiva Deliberazione del CICR (n. 10688 del 4/03/2003, art. 9 comma 2) ha demandato alla Banca d’Italia di individuare quali siano le operazioni e i servizi a fronte dei quali detto indice, “comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell’operazione per il cliente”, debba essere segnalato, nonché la formula per rilevarlo. L’art. 121 T.U.B. definisce il TAEG come segue “…m) “tasso annuo effettivo globale” o “TAEG” indica il costo totale del credito per il consumatore espresso in percentuale annua dell’importo totale del credito. 2. Nel costo totale del credito sono inclusi anche i costi relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito, compresi i premi assicurativi, se la conclusione di un contratto avente ad oggetto tali servizi è un requisito per ottenere il credito, o per ottenerlo alle condizioni offerte. 3. La Banca d’Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR, stabilisce le modalità di calcolo del TAEG, ivi inclusa la specificazione dei casi in cui i costi di cui al comma 2 sono compresi nel costo totale del credito..” Per effetto delle nuove disposizioni della Banca d’Italia sulla trasparenza, in adempimento della direttiva europea EU 2008/48/CE, dal 1º giugno 2011, il calcolo del TAEG comprende - a differenza di quanto previsto per il TEG - anche gli oneri fiscali (come ad esempio l’imposta di bollo sui contratti). 2. L’Indicatore Sintetico di Costo - I.S.C. La sigla I.S.C. esprime, nella sostanza, il medesimo tasso del TAEG; la definizione, che ha assunto significato formale nel 2003 con una delibera del CICR - cui è seguito un Provvedimento attuativo della Banca d'Italia che ne ha confermato il presumibile significato - ha infatti precisato che l’ISC è “calcolato conformemente alla disciplina sul tasso annuo effettivo globale (TAEG)”. In altri termini è stato chiarito che quando si dice ISC è come dire TAEG; quindi nell’ISC andranno ricomprese tutte le spese specificate per il TAEG. In linea di massima si ritiene che Il TAEG si riferisca mutui, anticipazioni bancarie, aperture di credito e altri finanziamenti, compreso il credito al consumo, mentre l’ISC alle sole aperture di conto corrente. 3. Natura e funzione del TAEG / ISC Alla luce di quanto sopra indicato il TAEG/ISC rappresenta lo strumento principale di trasparenza nei contratti di credito al consumo (esso è infatti regolato nel Titolo VI, Capo II del TUB, intitolato “Credito al consumo”) ed esprime, in termini percentuali rispetto al capitale erogato, il costo totale effettivo del credito a carico del consumatore. Lo stesso deve essere inserito obbligatoriamente nella pubblicità, negli uffici commerciali dell’intermediario e nella documentazione messa a disposizione del consumatore prima della conclusione del contratto, in quanto persegue lo scopo di dare al consumatore informazioni omogenee e attendibili sul costo effettivo del credito tra le diverse offerte presenti sul mercato e raffrontare istantaneamente la convenienza delle diverse offerte di credito. Il TAEG include, pertanto, oneri diversi e ulteriori rispetto al tasso di interesse semplice (T.A.N. - Tasso Annuo Nominale) come, ad esempio, le spese di riscossione dei rimborsi e di incasso delle rate, se stabilite dal creditore, il costo dell’attività di mediazione svolta da un terzo, se necessaria per l’ottenimento del credito, le commissioni, le imposte, i costi relativi a servizi accessori connessi che siano obbligatori e di cui il finanziatore sia a conoscenza, i costi legati a operazioni di pagamento e i costi di gestione del conto sulle quali queste ultime vengono scritturate. Non sono invece incluse nel TAEG le spese connesse a un eventuale inadempimento e gli interessi di mora, le spese per il trasferimento dei fondi, le spese per assicurazioni o garanzie, a eccezione di quelle che, imposte dal creditore, riguardano particolari eventi della vita del consumatore, quali la morte, l’invalidità, la disoccupazione, anche in tal senso il TAEG si differenzia dal TEG (che, invece, è l’indicatore di riferimento per quanto concerne l’eventuale usurarietà del prodotto finanziario). Il calcolo del TAEG presuppone, pertanto, che siano conosciuti in anticipo gli elementi che ne determinano il risultato quali, tra gli altri, l’entità del finanziamento o i tempi di restituzione dello stesso. Recenti pronunce della giurisprudenza di merito ed arbitrale (ABF – Arbitro Bancario Finanziario) hanno sanzionato con la declaratoria di nullità del contratto bancario istituti di credito e società di leasing che hanno applicato ai rapporti condizioni differenti da quelle pubblicizzate, se non addirittura espressamente indicate nel testo contrattuale o hanno omesso l’indicazione in contratto di contenuti obbligatori, espressamente previsti dalla legge per garantire al cliente la massima trasparenza e conoscenza del contenuto del contratto sottoscritto. L'informazione, in effetti, serve ad identificare con precisione cosa la banca vuole dal cliente, cosicché quest'ultimo possa operare scientemente le proprie scelte. Appare rispondente all'esigenza “sociale” la definizione che taluno ha dato della trasparenza, ovvero “termine trasparenza è un modo riassuntivo di esprimere il concetto di informazione completa e adeguata”. Traendo spunto dai principi generali dell'art. 1374 c.c., ovvero buona fede e correttezza della condotta, si ricava l'obbligo di informazione quale “obbligo accessorio” al rapporto contrattuale e alla sua integrazione. Come ha avuto modo di precisare la Corte di Cassazione con sentenza n. 12093 del 27.09.2001, tra i più generali doveri di buona fede rientra quello di consegnare al cliente la documentazione relativa al rapporto concluso, dovere che trova la sua corrispondenza negli artt. 1374, 1375 e 119 TUB che sanciscono un vero e proprio diritto soggettivo del cliente a farsi consegnare tale documentazione. 4. La violazione della normativa - Errata o omessa indicazione del TAEG Nel caso in cui il TAEG effettivo non sia conforme a quello dichiarato in contratto, l'art. 125- bis, comma 6 del T.U.B., prevede che: "Sono nulle le clausole del contratto relative a costi a carico del consumatore che, contrariamente a quanto previsto ai sensi dell'articolo 121, comma 1, lettera e), non sono stati inclusi o sono stati inclusi in modo non corretto nel TAEG pubblicizzato nella documentazione predisposta secondo quanto previsto dall'articolo 124. La nullità della clausola non comporta la nullità del contratto." Ciò comporta la nullità della clausola di determinazione del tasso d’interesse e la sua sostituzione di diritto con quanto previsto nel comma 7 dello stesso articolo: “Nei casi di assenza o di nullità delle relative clausole contrattuali: a) il TAEG equivale al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto. Nessuna altra somma è dovuta dal consumatore a titolo di tassi di interesse, commissioni o altre spese”. Una importante pronuncia relativa alle conseguenze della mancata o errata indicazione del sopraindicato indice è costituita da Tribunale di Cagliari, sentenza del 26 giugno 2019, n. 1455. Nella predetta Sentenza si chiarisce che l’ISC rappresenta un elemento fondamentale tra tutte le previsioni del contratto, in quanto indica il costo complessivo dell'operazione. La mancata indicazione dell'ISC rende il contratto difforme dal modello legale con conseguente nullità ai sensi dell'art. 117, comma 8, TUB (“i contratti e i titoli difformi sono nulli”). La pronuncia in esame chiarisce che la nullità del contratto per mancata indicazione dell'ISC deriva per altra via anche dalla violazione di norma imperativa.; ed invero, l’inserimento in contratto del predetto indice, difatti, lungi dall'essere solo obbligo di comportamento del finanziatore, costituisce un obbligo posto a presidio di interessi pubblici di primaria importanza e non solo del cliente: la trasparenza delle condizioni economiche del contratto mediante l'indicazione del costo complessivo dell'operazione non consente solo al cliente di cogliere il senso complessivo dell'operazione, ma altresì di comparare le proposte contrattuali presenti sul mercato, così da orientarlo nella scelta della proposta più conveniente e di garantire la più ampia concorrenza tra gli operatori. In particolare il Tribunale chiarisce quanto segue: “Occorre anzitutto evidenziare che l’ISC, a norma del paragrafo 9, sezione II delle Istruzioni della Banca d’Italia, deve essere riportato non solo nel documento di sintesi, ma anche nel contratto, avente pertanto natura di “contenuto minimo determinato”. La prevista indicazione dell’ISC nel contratto chiarisce la differenza di natura e funzione rispetto al documento di sintesi. Se, infatti, il documento di sintesi ha una natura meramente riepilogativa e descrittiva di elementi contenuti tutti nel contratto, l’ISC al contrario è il frutto di una elaborazione matematica dell’istituto finanziatore che offre al cliente un elemento informativo fondamentale, ovvero il costo complessivo dell’operazione. Tale elemento, pertanto, non rappresenta un ausilio alla lettura in senso formale del contratto ma fornisce uno strumento di lettura in senso sostanziale, ovvero consente al cliente di comprendere e valutare l’operazione economica sotto il profilo più squisitamente concreto del costo della stessa mediante una sintesi numerica di immediata e facile percezione. Si tratta, in effetti, di un dato che non può essere autonomamente elaborato dal cliente, giacchè presuppone la conoscenza della disciplina del TAEG, aliunde contenuta, bensì dal solo istituto finanziatore, unico soggetto professionalmente in grado di effettuarlo. L’assenza dell’indicatore sintetico del costo, a differenza del documento di sintesi i cui elementi sono desumibili da una lettura per esteso del contratto, impedisce al cliente di avere conoscenza del costo del finanziamento e di poter effettuare così una valutazione complessiva e comparativa della proposta contrattuale. L’ISC, dunque, si pone in una duplice veste. Sia come strumento di pubblicità nella fase pre-contrattuale, e di qui l’inserimento nella sezione II delle Istruzioni, L’assenza dell’indicatore sintetico del costo, a differenza del documento di sintesi i cui elementi sono desumibili da una lettura per esteso del contratto, impedisce al cliente di avere conoscenza del costo del finanziamento e di poter effettuare così una valutazione complessiva e comparativa della proposta contrattuale. Sulle conseguenze della mancata / errata indicazione la predette pronuncia chiarisce che “l’ISC è pertanto un elemento del contratto su cui si forma la volontà contrattuale delle parti ed anzi può anche dirsi che si tratti dell’elemento fondamentale tra tutte le previsioni del contratto in quanto indica il costo complessivo dell’oeprazione. Deve conseguentemente affermarsi che la mancata indicazione dell’ISC rende il contratto difforme dal modello legale con conseguente nullità ai sensi dell’art. 117 c. 8 TUB (“i contratti e i titoli difformi sono nulli”) .” La sanzione di detta inosservanza comporta, che debba trovare “applicazione la previsione dell’art. 117 c. comma 7, il quale prevede che <<in caso di inosservanza del comma 4 ... si applicano: a) il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell'operazione. b) gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi al momento della conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, al momento in cui l'operazione è effettuata o il servizio viene reso; in mancanza di pubblicità nulla è dovuto>>. Ad avviso del tribunale, tra le conseguenze previste dalla norma, appare più corretto fare applicazione di quella prevista dalla lett. a), in conformità alla disciplina dettata dall’art. 125 bis per quanto riguarda il TAEG, e dunque corretto applicare al contratto il tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto.” Sulla stessa linea della Sentenza sopra richiamata, anche la Sntenza n. 801 del 2018, del Tribunale di Pesaro. ***** *** **** Non possiamo, peraltro nascondere che vi è una parte della giurisprudenza che ritiene, diversamente dalle pronunce sopra richiamate, che la mancata o errata indicazione del TAEG non comporti alcuna conseguenza di legge. A puro titolo di esempio riportiamo uno stralcio di motivazione di una Sentenza che esprime il contrario orientamento: “l'ISC/TAEG non costituisce un tasso di interesse o una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, ma svolge unicamente una funzione informativa finalizzata a mettere il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi; pertanto, l'erronea indicazione dello stesso, non comportando di per sé una maggiore onerosità del finanziamento, quanto piuttosto un'erronea rappresentazione del suo costo complessivo, non determina alcuna nullità contrattuale” (In tal senso cfr., da ultimo, Trib. Monza 23 febbraio 2018 n. 550; Trib. Grosseto 21 giugno 2018); nel medesimo senso anche Tribunale di Roma, 5 marzo 2020, n. 4835. Ad avviso di chi scrive le argomentazioni espresse dalle pronunce sopra citate appaiono deboli e non congruamente motivate. Ed invero l’interpretazione data dalla parte della giurisprudenza sopra richiamata pare svuotare radicalmente di significato il dettato normativo. In altri termini una siffatta interpretazione lascerebbe del tutto prive di tutela condotte scorrette da parte di banche e società finanziarie nei confronti della propria clientela, andando contro non solo al dettato degli articoli del TUB sopra richiamati ma sopratutto allo spirito che informa tutto il Testo Unico Bancario relativamente ai rapporti tra Aziende di Credito ed utenti delle stesse. Viceversa le Sentenze richiamate supra (Tribunale di Cagliari, sentenza del 26 giugno 2019, n. 1455 per tutte) si collocano nell’alveo della corretta interpretazione della lettera e della ratio del TUB.
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È noto che, per ostacolare il contagio da covid-19, è stata emanata una normativa d’urgenza che limita libertà costituzionalmente garantite come quella di circolazione e soggiorno (art. 16 Cost.), di riunione (art. 17 Cost), di iniziativa economica privata (art. 41 Cost), determinando situazioni che possono causare l’estinzione di preesistenti rapporti giuridici obbligatori e la risoluzione di svariati tipi di contratto.
Le prescrizioni contenute nei vari D.p.c.m. che si sono succeduti al D.L.n.6 del 23/2/2020, conv.in L.n.13 del 5/3/2020 possono aver creato situazioni, imprevedibili e insuperabili dall’obbligato, impeditive dell’adempimento e alle quali il debitore non può ovviare con la diligenza richiestagli dalla natura dell’obbligazione. Si tratta dei casi di impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore (art. 1256 c.c.). C’è un limite all’impegno richiesto al debitore e non si può pretendere dall’obbligato di superarlo andando oltre la diligenza dovuta. Quindi, bisogna solo domandarsi se la condotta che potrebbe prevenire o superare la situazione che impedisce l’adempimento possa ritenersi esigibile o meno dal debitore. Se la risposta fosse affermativa, allora l’obbligazione sussisterebbe e il debitore sarebbe costretto a porre in essere la condotta idonea a superare la difficoltà, in caso contrario, l’obbligazione si estinguerebbe liberando il debitore dall’obbligo della prestazione. Infatti, l’impossibilità sopravvenuta è un modo che, anche se non soddisfa l’interesse del creditore, estingue l’obbligazione. Come descritto in precedenza, l’impossibilità non deve essere confusa con la difficoltà del debitore nell’eseguire la prestazione obbligatoria perché in tal caso egli non sarebbe liberato dalla responsabilità per l’inadempimento e sarebbe tenuto a risarcire i danni subiti dal creditore (art. 1218 c.c.). Di questi tempi, è frequente accertare l’esistenza di un atto dell’autorità, legislativa o amministrativa che, dettato da interessi generali quali la tutela della salute collettiva, costituisca impedimento alla prestazione obbligatoria, indipendentemente dal comportamento dell’obbligato. Al riguardo, si pensi al vettore che non può consegnare la merce o che non può trasportare il passeggero, al promittente acquirente che non può concludere il contratto definitivo. Vi è da aggiungere che le conseguenze cambiano a seconda che l’impossibilità sopravvenuta sia irreversibile e definitiva o solo temporanea. Mentre la prima estingue senz’altro l’obbligazione, la seconda ne sospende l’esecuzione, escludendo la responsabilità del debitore per il ritardo (art. 1256, secondo comma, c.c.). Ma anche se transitoria, l’impossibilità può dar luogo all’estinzione del rapporto obbligatorio se perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione ed alla natura dell’oggetto, il debitore non si può ritenere obbligato ovvero il creditore non ha più interesse a conseguire la prestazione. A tal proposito si pensi all’impossibilità di realizzare un pacchetto turistico tutto compreso già prenotato con acconto pagato dal turista “consumatore” o all’obbligo di assunzione in capo al datore di lavoro in base ad accordo sindacale. Infine, l’impossibilità può rivelarsi totale o parziale; quella totale rende irrealizzabile l’interesse del creditore ed è estintiva dell’obbligazione, l’altra invece dà luogo ad una modificazione quantitativa dell’obbligazione. In quest’ultima ipotesi, che è sottoposta a disciplina diversa da quella per l’adempimento parziale, il debitore rimane obbligato per la parte rimanente che il creditore non sarebbe legittimato a rifiutare. Diverso ancora è il caso dell’inesattezza qualitativa per causa non imputabile al debitore, quando l’obbligazione ha ad oggetto la vendita o la consegna di cose determinate. Il debitore si libera alienando o consegnando la cosa deteriorata o qualitativamente variata (art.1258, secondo comma, c.c.). Se invece l’obbligazione è generica o di fare, anche in presenza di impossibilità sopravvenuta, la prestazione del debitore consisterà nell’alienare o consegnare beni e servizi qualitativamente diversi, ma non tali da alterare l’identità economico-sociale della prestazione. Quando l’obbligazione nasce da un contratto a prestazioni corrispettive, la disciplina dell’impossibilità sopravvenuta va integrata e coordinata con quella generale del contratto. Si rimanda ad un successivo articolo tale trattazione. Per adesso basti ricordare che, il debitore obbligato ad una prestazione di fare o di dare, provando che essa è divenuta impossibile a causa di un provvedimento legislativo o amministrativo, si libera dall’obbligazione senza dover risarcire alcun danno o, qualora potesse ugualmente adempiere, ma in ritardo, non sarebbe tenuto a pagare interessi moratori.
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In questo periodo di emergenza sanitaria derivante dalla pandemia del COVID-19, è particolarmente sentito il tema del rapporto intercorrente tra il dovere del datore di lavoro di fornire i dispositivi di sicurezza e la responsabilità del lavoratore per il suo utilizzo.
Lo scopo di questo contributo è quello di fornire chiarezza sulle regole generali e sul dovere incombente sul datore di lavoro; tutto ciò con la premessa che si cercherà di focalizzare la nostra attenzione sul tema della responsabilità medica anche alla luce di recenti polemiche strumentali che hanno tentato di attribuire al personale sanitario, responsabilità che, come si dimostrerà, sono di tipo organizzativo e rientrano nell’ambito del concetto di responsabilità del datore di lavoro. Nel nostro ordinamento vige il testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (noto anche con l'acronimo TUSL), un complesso di norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, emanate con il Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. Le strutture di ricovero e cura, ospedali e non solo, sia pubbliche che private, rientrano nell’ambito della normativa che riguarda i luoghi di lavoro, e devono quindi risultare conformi ai requisiti definiti nel capo I del Titolo II (artt 62-64) del Testo Unico sulla Sicurezza. Rispetto alle disposizioni generali riferibili a qualsiasi luogo di lavoro, esistono naturalmente, alcune distinzioni e differenti prerogative che tengono conto della specificità dell’attività sanitaria: ad esempio l’istituzione del Servizio di Prevenzione e Protezione interno all’azienda è obbligatorio per le strutture di ricovero e cura con oltre 50 lavoratori (oltre che per altre tipologie di aziende come elencate nel c6 dell’art 31). Si deve partire da un assunto: è OBBLIGO del DATORE DI LAVORO fornire al lavoratore gli strumenti di sicurezza necessari . Ancora di più nel campo medico: il fatto è talmente banale e lampante che sarebbe ultroneo indicare le specifiche norme, pur presenti in diverse disposizioni ed in primis nel testo unico citato. Ciò in quanto tale obbligo viene da una considerazione di ordine logico e morale prima ancora che giuridico. Un altro dato, in sé banale ma che merita di essere evidenziato, è che gli ospedali sono luoghi di lavoro alquanto eterogenei e complessi (si pensi ad ambulatori, day hospital, degenza, laboratori, radioterapia ecc) e ricoprono una vasta serie di casistiche riconducibili a rischi sui luoghi di lavoro molteplici ed a volte complessi. Ne consegue che i rischi inerenti le diverse attività devono essere valutati studiando gli ambienti di lavoro ed analizzandone le caratteristiche, sia strumentali che infrastrutturali, con lo scopo di elaborare un Documento di Valutazione dei Rischi adeguato ad ogni singolo settore. Da qui un altro importante dato: le strutture sanitarie sono tenute ad adottare uno specifico documento di valutazione dei rischi che deve tenere conto dei rischi specifici relativi all'emergenza in corso o se non contemplati dal predetto documento, quest’ultimo deve essere prontamente aggiornato . Al riguardo è evidente che il primo aspetto da valutare è il rischio di tipo biologico, sia per gli operatori che per i degenti.Gli ospedali sono il luogo in cui, per definizione, gli agenti patogeni vengono introdotti spontaneamente (pazienti) con possibilità e capacità di trasmissione attraverso il vettore umano.Tutto ciò, unitamente alla possibile condizione di riduzione delle difese immunitarie per cause patologiche o terapeutiche, rendono il rischio biologico uno dei più significativi in una struttura ospedaliera. Per evitare che tali pericoli si concretizzino, (fatto, quest’ultimo purtroppo riscontrato troppo spesso nell’attuale emergenza) come in qualsiasi altro posto di lavoro, anche in un ospedale, deve esistere un organigramma della sicurezza che faccia capo ad un Datore di Lavoro (spesso identificato per esempio nel Direttore scientifico, piuttosto che in un membro del Consiglio di Amministrazione o nella proprietà in caso di aziende private). Vi sono poi eventualmente le figure dei dirigenti per la sicurezza identificabili per esempio nei direttori di dipartimento o nei medici primari di reparto; ed infine i preposti che spesso vengono identificati nel personale di capo area, capo reparto infermieristico, responsabili di laboratorio o responsabili di sala. In altri termini è compito della dirigenza amministrativa, sulla base delle proposte del personale operativo (medici ed infermieri) disporre le procedure ed i protocolli indispensabili alla prevenzione dei rischi di contagio sia in capo ai pazienti che in capo al personale medico . Questi concetti non sono espressione di una legislazione tutta italiana ma trovano conforto nelle disposizioni comunitarie. Quanto sopra è di particolare importanza, in presenza di una pandemia globale, nella quale uniformare procedure, protocolli e valutazioni dei rischi rappresenta il primo modo per prevenire i contagi e tutelare operatori sanitari e pazienti . In particolare, ai sensi dell’articolo 6 della direttiva 89/391/CEE del Consiglio, conferma che l’obbligo di prendere le misure necessarie per la protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori incombe sul datore di lavoro, ossia sull’AMMINISTRAZIONE. Si conferma, ancora una volta che i datori di lavoro hanno la responsabilità generale di determinare e valutare i rischi presenti sul luogo di lavoro: spetta, cioè, a loro garantire che tali attività siano svolte correttamente. Se i datori di lavoro non possiedono personalmente le conoscenze a tal fine necessarie, sono tenuti a rivolgersi a esperti in materia di salute e sicurezza sul lavoro e a medici del lavoro, in servizio presso l’azienda o reclutati come consulenti esterni. Tra le necessarie misure di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori sono comprese le attività di prevenzione dei rischi professionali, le attività di informazione e di formazione nonché l’approntamento di un’organizzazione e dei mezzi necessari. Ai sensi degli articoli 5-12 della direttiva 89/391/CEE del Consiglio, gli articolati obblighi incompleto sul datore di lavoro sono: • garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi con il lavoro; • disporre di una valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, inclusi i rischi riguardanti i gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari; • prendere le misure appropriate affinché i lavoratori e/o i loro rappresentanti ricevano, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, tutte le informazioni necessarie; • consultare i lavoratori e/o i loro rappresentanti e permettere la loro partecipazione in tutte le questioni che riguardano la sicurezza e la protezione della salute durante il lavoro; • determinare le misure protettive da prendere e, se necessario, l’attrezzatura di protezione da utilizzare; • prendere le misure necessarie per la protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori; • attuare le misure necessarie in base ai principi generali in materia di prevenzione(Direttiva quadro 89/391/CEE, articolo 6, paragrafo 2», pagina 26) ; • garantire che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata in materia di sicurezza e salute, sotto forma di informazioni e di istruzioni specifiche in riferimento al luogo di lavoro o alla funzione (in occasione della sua assunzione, di un trasferimento, dell’introduzione di un’attrezzatura di lavoro o di una nuova tecnologia); • prendere le misure appropriate affinché i datori di lavoro dei lavoratori degli stabilimenti esterni i quali intervengano nel suo stabilimento ricevano, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, adeguate informazioni in merito ai rischi per la salute e la sicurezza nel corso delle attività svolte nel suo stabilimento; • documentare, verificare e rivedere la valutazione dei rischi e le misure intraprese. In tale contesto la partecipazione dei lavoratori non è soltanto un diritto, ma è fondamentale per permettere una gestione efficace ed efficiente della salute e della sicurezza sul lavoro da parte del datore di lavoro. L’esperienza insegna, purtroppo che le amministrazioni spesso non capiscono o non sono in grado di comprendere o, peggio ancora non hanno l’umiltà di farlo, che i lavoratori, conoscono i problemi che la loro attività lavorativa o funzione comporta. Del resto anche i lavoratori (articolo 6, della direttiva 89/391/CEE del Consiglio) i lavoratori hanno diritti e obblighi e più precisamente: • essere consultati nella valutazione dei rischi e prendere parte alle discussioni su tutte le questioni che riguardano la sicurezza e la protezione della salute sul lavoro; ciò significa che la valutazione del rischio dovrebbe tener conto di gruppi a rischio particolarmente esposti, che devono essere protetti dagli specifici pericoli che li riguardano • fare proposte; • avere una partecipazione equilibrata, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali; • essere informati circa i rischi per la sicurezza e la salute e circa le misure occorrenti per ridurre o sopprimere questi rischi; • essere coinvolti nelle decisioni riguardanti le misure e le attività di protezione e prevenzione da mettere in atto; • ricevere una formazione sufficiente e adeguata in materia di sicurezza e salute, in particolare sotto forma di informazioni e di istruzioni riguardanti nello specifico il luogo di lavoro. Le attività sopra descritte si concretizzano in un processo che consta di cinque fasi, descritte nella scheda 81 dell’EUOSHA (Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro). Fase 1 — Individuare i pericoli e i soggetti a rischio Fase 2 — Valutare e attribuire un ordine di priorità ai rischi Fase 3 — Decidere l’azione preventiva (T-O-P) Fase 4 — Intervenire con azioni concrete Fase 5 — Documentazione, controllo e riesame Non è il caso di soffermarsi sulle singole fasi; basti rilevare che nei casi in cui si sono avuti contagi tra gli operatori sanitari queste fasi o attività nella migliore delle ipotesi non erano aggiornate e, pertanto non adatte alla tutela del rischio che lavoratori e pazienti si sono trovati ad affrontare. In conclusione: la violazione delle disposizioni in tema di sicurezza sul lavoro determina delle responsabilità penali, in alcune circostanze, civili (il risarcimento del danno subito) ed amministrativa. Le conseguenze e l’analisi della giurisprudenza in materia, sarà oggetto del prossimo contributo
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Decreto Cura Italia 3 Le misure fiscali3/25/2020 Le misure fiscali nel D.L. Salva Italia
Con il decreto “Cura Italia “ (D.L. n. 18 del 2020) l’Agenzia delle Entrate ha cercato di chiarire ambito e portata delle misure fiscali presenti nel decreto stesso, anche al fine di permettere verificarne gli effetti nei mesi a venire. In considerazione di una certa ridda di interpretazioni dilagata nelle ore immediatamente successive alla pubblicazione del sopra citato decreto l’agenzia delle entrate ha cercato di fare chiarezza su chi fossero i destinatari delle norme, chi potesse astenersi dal versare tributi e contributi e chi, invece, dovesse continuare a farlo. Per realizzare tale obiettivo, l’Agenzia ha realizzato un documento diviso per punti in cui viene spiegata la ratio delle varie norme, chi sono i soggetti cui sono rivolte e la loro “durata”. I punti trattati sono elencati nel seguente indice: 1.Sospensione versamenti imprese maggiormente colpite (articolo 18 “Cura Italia”) 2.Sospensione versamenti per imprese e lavoratori autonomi (articolo 62, commi 2, 3 e 5 del “Cura Italia”) 3.Sospensione per i soggetti delle cosiddette “Zone rosse” (articolo 62, comma 4 del “Cura Italia”) 4.Sospensione dei termini degli adempimenti tributari (articolo 62, commi 1 e 6 del “Cura Italia”) 5.Non effettuazione di ritenute su redditi da lavoro autonomo e altri redditi e su provvigioni (articolo 62, comma 7 del “Cura Italia”) 6.Sospensione dei termini relativi all’attività degli uffici degli enti impositori (articolo 67 del “Cura Italia”) 7.Premio ai lavoratori dipendenti (articolo 63 del “Cura Italia”) 8.Credito d’imposta per spese di sanificazione (articolo 64 del “Cura Italia”) 9.Credito d’imposta sugli affitti (articolo 65 del “Cura Italia”) 10.Detrazioni e deduzioni delle erogazioni liberali, in denaro o natura, a sostegno delle misure a contrasto del Coronavirus (articolo 66 del “Cura Italia”) 11.Sospensione dei termini di versamento dei carichi affidati all’agente di riscossione (articolo 68 del “Cura Italia”) 12.Differimento termini “Rottamazione ter” e “saldo e stralcio” (articolo 68 del “Cura Italia”) 13.Rinuncia alla sospensione dei termini 1) Sospensione versamenti imprese maggiormente colpite (articolo 18 “Cura Italia”) Le individuate dal comma 2 dell’art.58 del decreto n. 18/ 2020 (ossia le imprese maggiormente colpite dall’interruzione dell’attività disposta dai precedenti DPCM non dovranno versare ritenute, contributi previdenziali e assistenziali, premi per l’assicurazione obbligatoria e l’IVA dalla data di entrata in vigore del decreto sino al 30 aprile 2020. I versamenti riprenderanno dal 31 maggio e potranno essere effettuati in un’unica soluzione o in cinque rate di pari importo, in entrambe le ipotesi senza versamento di interessi e sanzioni. 2) Sospensione versamenti per imprese e lavoratori autonomi (articolo 62, commi 2, 3 e 5 del “Cura Italia”) Quanto alle imprese ed ai lavoratori autonomi, essi potranno sospendere i versamenti in autoliquidazione di ritenute e trattenute relative all’addizionale regionale e comunale, Iva e contributi previdenziali e assistenziali in scadenza entro il 31 marzo. È previsto un limite dimensionale, derivanti dall’aver conseguito ricavi o compensi inferiori ai 2 milioni di euro nell’anno fiscale precedente. Unica eccezione: Per le imprese e i professionisti delle province di Bergamo, Lodi, Cremona e Piacenza la sospensione dell’IVA è indipendente dal fatturato. La ripresa dei versamenti è prevista a partire dal mese di maggio, sia in un’unica soluzione (data ultima 31 maggio) sia in cinque rate di pari importo, con decorrenza dal mese di maggio). 3) Sospensione per i soggetti delle cosiddette “Zone rosse” (articolo 62, comma 4 del “Cura Italia”) Per i soggetti dei comuni delle cosiddette “Zone rosse”(allegato 1 del DPCM del 1 marzo 2020 sono differiti i termini per effettuare i versamenti sospesi di imposte e degli altri adempimenti tributari ed i sostituti d’imposta sono tenuti a non effettuare ritenute sui redditi. La scadenza è differita al 31 maggio 2020, data entro la quale dovranno essere versati tutti i tributi dovuti, salvo l’opzione del versamento rateale ( 5 rate mensili con decorrenza da maggio). 4) Sospensione dei termini degli adempimenti tributari (articolo 62, commi 1 e 6 del “Cura Italia”) Tutti gli adempimenti burocratici diversi dai versamenti e dalla effettuazione di ritenute comunali e regionali saranno sospesi per tutti i contribuenti fino al 31 maggio 2020. Gli adempimenti previsti in questo lasso di tempo dovranno poi essere effettuati, senza sanzioni, dal 1 al 30 giugno 2020. 5) Non effettuazione di ritenute su redditi da lavoro autonomo e altri redditi e su provvigioni (articolo 62, comma 7 del “Cura Italia”) Questo articolo esclude che soggetti passivi di ritenute su redditi da lavoro autonomo e su provvigioni debbano subire ritenute di alcun tipo, purchè abbiano un reddito( riferito nell’anno fiscale precedente) inferiore a €400.000,00. La misura si applica sui redditi percepiti entro il 31 marzo 2020. I contribuenti interessati sono tenuti a rilasciare apposita dichiarazione. 6) Sospensione dei termini relativi all’attività degli uffici degli enti impositori (articolo 67 del “Cura Italia”) Dall’8 marzo al 31 maggio 2020, l’Agenzia delle Entrate e altri uffici degli enti impositori non possono notificare nuove cartelle (neanche via PEC). Controlli e notifiche ripartiranno dal 1 giugno. 7) Premio ai lavoratori dipendenti (articolo 63 del “Cura Italia”) I lavoratori dipendenti che abbaino un reddito da lavoro dipendente inferiore ai 40 mila euro e che nel mese di marzo abbiano svolto la loro attività lavorativa nella sede di lavoro prevista dal contratto, riceveranno un premio di 100 euro nella busta paga del mese di aprile. 8) Credito d’imposta per spese di sanificazione (articolo 64 del “Cura Italia”) È riconosciuto un credito di imposta, pari al 50 % delle spese sostenute per la sanificazione fino a un massimo di 20 mila euro, per quelle aziende che hanno sanificato gli ambienti. Il credito sarà riconosciuto sino all’esaurimento dell’importo massimo di 50 milioni di euro previsto dal decreto del MISE di concerto con il MEF. 9) Credito d’imposta sugli affitti (articolo 65 del “Cura Italia”) I soggetti esercenti attività d’impresa potranno godere di un credito d’imposta del 60% del canone di locazione pagato nel mese di marzo 2020. La misura è limitata ai negozi e botteghe (categoria catastale C1). Il credito, inoltre, può essere utilizzato solo in compensazione e non può essere richiesto dalle attività elencate negli allegati 1 e 2 del DPCM dell’11 marzo 2020. 10) Detrazioni e deduzioni delle erogazioni liberali, in denaro o natura, a sostegno delle misure a contrasto del Coronavirus (articolo 66 del “Cura Italia”) Chiunque abbia effettuato una donazione a favore dello Stato, regioni, enti locali e associazioni senza scopo di lucro per la specifica finalità prevista ( azioni di contrasto al Coronavirus) si vedranno riconosciute detrazioni o deduzioni differenti a seconda della loro “ragione sociale”. Le persone fisiche e gli enti non commerciali potranno avere una detrazione del 30% della donazione effettuata; i soggetti titolari reddito d’impresa potranno invece dedurre la loro donazione. 11) Sospensione dei termini di versamento dei carichi affidati all’agente di riscossione (articolo 68 del “Cura Italia”) Dall’8 marzo al 31 maggio 2020 sono sospesi i termini per il pagamento di cartelle di pagamento, accertamenti esecutvi, avvisi di addebito INPS, accertamenti dogane, ingiunzioni e accertamenti esecutivi degli enti locali. Per tutti la scadenza è spostata al 30 giugno 2020. 12) Differimento termini “Rottamazione ter” e “saldo e stralcio” (articolo 68 del “Cura Italia”) In caso di adesione alla “Rottamazione Ter” e al “Saldo e stralcio” delle cartelle Agenzia delle Entrate, i contribuenti potranno godere del differimento dei termini di pagamento della rata del 28 febbraio e del 31 marzo. I pagamenti sono rinviati al 31 maggio. 13) Rinuncia alla sospensione dei termini Le misure previste dal Cura Italia non sono ovviamente obbligatorie. I contribuenti potranno rinunciare alla sospensione dei termini ed effettuare ugualmente i versamenti sospesi. Se così fosse, riceveranno forme di menzione come previsto dal Decreto Ministeriale del MEF. Un’ultima annotazione: i contribuenti rischiano di pagare a caro prezzo i sopra descritti benefici posto che è in previsione un aumento dl termine prescrizionale di 2 anni collegato all’emergenza finanziaria. Tale argomento sarà affrontato in un altro contributo
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Decreto Cura Italia 23/25/2020 La sospensione dei mutui per lavoratori dipendenti e non.Sospensione del mutuo prima casa per dipendenti e autonomi
La sospensione delle attività o di gran parte di esse, derivante dalle conseguenze dell'emergenza sanitaria in atto pone un problema di non poco conto . Da un lato non si può lavorare con inevitabili ripercussioni sul proprio guadagno, dall'altro restano fermi gli obblighi di pagamento . Per fortuna non per tutto è così. QUALI SONO LE NORME ? Con il DL 9/2020 recante “Misure urgenti di sostegno per le famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” è stata prevista la possibilità di richiedere la sospensione per 9 mesi delle rate del mutuo “prima casa” in favore dei lavoratori dipendenti che si erano visti sospendere o ridurre l’orario di lavoro per almeno trenta giorni. Tale possibilità è stata rivista in senso migliorativo attraverso il D.L. n. 18/2020, il cui art. 54 ha dato la possibilità di utilizzare, proprio per affrontare le conseguenze della situazione analizzata in premessa, il cd. “Fondo Gasparrini”, cioè il Fondo di solidarietà istituito presso il Ministero ell’Economia e delle Finanze, gestito dalla Consap S.p.A., ai sensi dell’art. 2, commi da 475 a 480 della Legge n. 244/2007, come modificato dalla legge n. 92/2012. CHI PUÒ BENEFICIARNE? Tale norma si applica ai lavoratori autonomi e ai liberi professionisti che autocertifichino, ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000 “di aver registrato, in un trimestre successivo al 21 febbraio 2020 ovvero nel minor lasso di tempo tra la data della domanda e la predetta data, un calo del proprio fatturato, superiore al 33% del fatturato dell’ultimo trimestre 2019 in conseguenza della chiusura o della restrizione della propria attività operata in attuazione delle disposizioni adottate dall’autorità competente per l’emergenza coronavirus”. QUALI SONO TERMINI E MODALITÀ? In sintesi basterà un’autodichiarazione per ottenere l’accesso al suddetto fondo, consentito – come visto – anche ai lavoratori autonomi e ai liberi professionisti, senza la necessità di presentare l’indicatore della situazione economica equivalente, cioè senza la necessità del cd. “ISEE”. La condizione per ottenere l’accesso facilitato al suddetto fondo sarà costituita dal “calo del proprio fatturato”in una misura “superiore al 33% del fatturato dell’ultimo trimestre 2019”,quale conseguenza “della chiusura o della restrizione della propria attività operata in attuazione delle disposizioni adottate dall’autorità competente per l’emergenza coronavirus”. Va precisato che il presupposto non è costituito dalla chiusura totale della propria attività, ma dalla mera “restrizione”con il suddetto “calo del proprio fatturato”. Naturalmente il termine di paragone sarà necessario rapportare il“calo del proprio fatturato” rispetto all’ultimo trimestre del 2019, e non allo stesso periodo dell’anno precedente, e bisognerà prendere come riferimento un trimestre successivo “al 21 febbraio 2020” o,anche, un “minor lasso di tempo tra la data della domanda e la predetta data”. Pertanto non bisognerà considerare necessariamente un trimestre, ma si potrà attestare il suddetto calo di fatturato anche in un minor periodo di tempo a far data dal 21 febbraio 2020. La domanda potrà essere presentata in un periodo di 9 mesi con decorrenza dal 17 marzo 2020 (cioè, dalla data di pubblicazione del D.L. “Cura Italia”) e la sospensione massima dal pagamento delle rate che potrà essere ottenuta sarà di 18 mesi. Durante il periodo di sospensione, al versamento delle rate al pagamento degli “interessi compensativi nella misura pari al 50% degli interessi maturati sul debito residuo durante il periodo di sospensione”provvederà il citato Fondo di solidarietà. A tal fine il Fondo in questione avrà a disposizione la somma complessiva di 400 milioni di euro che si aggiungono alle dotazioni del Fondo, pari a circa 25 milioni di euro, per far fronte alla spesa necessaria alla citata moratoria. QUALI SONO I REQUISITI? Avranno accesso ai benefici descritti i proprietari di un immobile adibito ad abitazione principale, titolari cioè di un mutuo cd. “prima casa” non superiore ad € 250.000,00, stipulato per l’acquisto dello stesso immobile, che sia in ammortamento da almeno un anno al momento della presentazione della domanda, anche se il titolare del contratto di mutuo si trovi già in ritardo nel pagamento delle relative rate, purché tale ritardo non sia superiore a 90 giorni consecutivi. Il provvedimento in questione, inoltre, rimette però la possibilità al Ministero dell’Economia e delle Finanze di emanare con“decreto di natura non regolamentare”eventuali disposizioni di attuazione, anche in considerazione dell’art. 26 del D.L. n. 9/2020, che aveva già previsto l’estensione del fondo di solidarietà in questione ai lavoratori che avessero subito la sospensione dal lavoro o la riduzione dell’orario “per un periodo di almeno trenta giorni”. È importante far presente che non è ancora proponibile la domanda da indirizzare tramite la propria banca: bisognerà infatti attendere ancora l’emanazione dei provvedimenti attuativi che fisseranno i necessari chiarimenti sulle modalità attuative delle nuove disposizioni che dovrà essere redatta, pur nel rispetto delle indicazioni normative, dal singolo interessato. Sul lato pratico si evidenzia che la disposizione in questione presenta indubbi vantaggi posto che il pagamento degli interessi, ancorché nella misura del 50% sarà a carico dello Stato e, quindi, una volta superato il periodo di sospensione, le rate “sospese” ed “accodate” all’ultima del piano di ammortamento dovrebbero risultare più basse. Resta ferma la possibilità , per tutti coloro che fossero privi dei requisiti sopra indicati e, di conseguenza, non in condizione di accedere ai suddetti benefici di richiedere ed ottenere la “rinegoziazione della durata del mutuo” ovvero la “surrogazione”.
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Decreto Cura Italia 13/25/2020 I provvedimenti per le piccole impreseSospensione rimborso di prestiti - mutui - leasing per le piccole e medie imprese
Il Decreto “Cura Italia” n° 18/2020, pubblicato in G. U. il 17.03.2020, ha previsto una moratoria su prestiti e linee di credito di piccole e medie imprese. In particolare si prende che per le PMI siano sospesi fino al 30 settembre 2020 i pagamenti relativi a finanziamenti /mutui; leasing; prestiti non rateizzati; Altra novità importante riguarda la impossibilità per le Banche di revocare (sempre fino al 30 settembre 2020): i finanziamenti accordati a fronte di anticipi su crediti; le linee di credito accordate “sino a revoca”. Come si deve agire? La sospensione non è automatica ma è necessari che l’azienda la richieda, corredandola con autocertificazione con la quale afferma che la propria attività ha subito una contrazione parziale o totale come conseguenza immediata e diretta dell’epidemia dal Covid-19. Cosa succede a questo punto? Il piano di ammortamento di rate o canoni oggetto di sospensione subisce una dilazione senza alcuna formalità; il tutto comprende anche gli elementi accessori e deve essere fatto in modo da evitare nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti. Peraltro le imprese possono chiedere di sospendere soltanto i rimborsi in conto capitale. La copertura dello Stato Per la copertura di tale misura si è attuato il potenziamento del Fondo di Garanzia PMI; inoltre sono previste ulteriori misure per la liquidità delle imprese, garanzie statali per la moratoria sui finanziamenti bancari, sostegno fiscale per la cessione dei crediti deteriorati, garanzia massima per singola impresa fino a 5 milioni di euro. La moratoria su prestiti e finanziamenti di cui sopra è stata supportata da una garanzia pubblica pari al 33%. Le moratorie ABI (Associazione Bancaria Italiana) per le imprese Prima dell’entrata in vigore del Decreto “Cura Italia” l’ABI e le Associazioni di rappresentanza delle imprese hanno sottoscritto un Addendum all’Accordo per il Credito del 2019, ed hanno prorogato l’applicazione della misura “Imprese in Ripresa 2.0”. Cosa prevede l’accordo? Le imprese danneggiate dall’emergenza Coronavirus possono usufruire della c.d. moratoria ABI per tutti i finanziamenti in essere al 31 gennaio 2020. Quali sono i termini e le modalità? Per i finanziamenti a medio lungo termine (ossia i mutui, anche perfezionati tramite il rilascio di cambiali agrarie), si può chiedere la sospensione del pagamento della quota capitale delle rate fino a un anno; Per i leasing (mobiliare o immobiliare) si può chiedere la sospensione della quota capitale implicita del canone. Per le ipotesi di allungamento dei mutui, il periodo massimo di estensione può arrivare fino al 100% della durata residua del piano di ammortamento. Per il credito a breve termine e il credito agrario di conduzione il periodo massimo di allungamento delle scadenze è pari rispettivamente a 270 giorni e a 120 giorni. L’accordo è operativo da subito e vi ha aderito il 90% delle Banche in tutta Italia. Considerando che in applicazione dell’accordo le Banche non sono tenute a riclassificare il rischio (segnalazione in CR, con tutte le conseguenze di legge) il periodo può essere favorevole per le imprese per iniziare una strategia per uscire da una eventuale crisi di liquidità. |